Al pozzo

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Al pozzo

S1:E2

Un giorno, circa tre settimane dopo il loro primo incontro sul ponte, il sentiero della donna e del giovanotto tornò a incrociarsi. Una mancanza d’acqua stava colpendo l’intera valle e c’era solo un pozzo, profondo e limpido, che continuava a fornire acqua senza interruzione. Le persone viaggiavano da tutta la regione per attingere a questo pozzo. Alcuni a piedi e altri con carri trainati dai cavalli.

Il pozzo era noto ovunque come il “sommo pozzo”, Era tarda sera quando il giovanotto infine lo raggiunse, portando con sé la sua brocca vuota. Nella luce che andava declinando vide la donna con cui aveva parlato di concetti così ampi da non avere mura intorno a loro, poiché non erano inventati dalla condizione umana (humanness).

Il giovane, ignorando il pozzo, le andò incontro. “È lei?” e si stupì egli stesso per il tono sorpreso della sua voce.

“Qualcuno deve essere me” rispose la donna con un sorriso.

“Si ricorda? Ci siamo incontrati sul ponte circa tre settimane fa.”

La donna annuì.

“È qui anche lei per l’acqua? … Vedo che non ha nessun recipiente.”

“Forse sono qui per te.”

“Io stavo andando a prendere dell’acqua e la condividerò con lei.”

Di nuovo la donna annuì ma, questa volta, con una piccola scrollata di spalle. “Ho un braccio che mi fa male e non riesco ad attingere l’acqua, è troppo pesante.”

Il giovane entrò subito in azione, come premuto da un interruttore. Quando fu al pozzo, nel sollevare il secchio si rese conto di quanto in realtà fosse pesante. Riempì la sua brocca d’acqua fino all’orlo, schizzando appena qualche goccia, e poi tornò dalla donna. Mentre camminava cercando di mantenere l’equilibrio sotto il peso del contenitore colmo, pensava quale domanda avrebbe potuto farle.

Si accertò che bevesse un sorso d’acqua, e le porse la brocca pensando che fosse troppo pesante per lei. “Lasci che la tenga io per lei” si offrì.

La donna unì strettamente le mani a coppa e lui versò un po’ d’acqua in quella coppa di carne. La donna la bevve subito, e fece un profondo sospiro.

“Grazie. Mi ero quasi dimenticata di quanto avessi sete.”

“È un onore” rispose il giovane.

La donna si era allontanata solo di pochi passi, ma nell’oscurità il suo volto era vago e indistinto.

La voce, tuttavia, lui la ricordava e ne rivelava pienamente l’identità. Il sole era ormai tramontato e il cielo era illuminato da un chiarore azzurro-violetto e giallo-aranciato.

L’uomo si sedette e bevve una sorsata dalla brocca. Poi ne offrì ancora alla donna che di nuovo gli porse la mani a coppa.

“Posso farle una domanda?”

La donna finì di bere e lo guardò con occhi gentili. “Certamente.”

“Quali sono per lei le tre cose più interessanti della vita?”

La donna ci pensò sopra per un momento e rifletté sulla domanda chiedendosi se conosceva veramente la risposta.

“Penso che se dovessi condensare, una cosa sarebbe che c’è un numero infinito di forme di vita nello spaziotempo, eppure nessuna di esse ha la mia stessa identica visione della realtà. Ogni singolo punto di realtà è diverso. Noi siamo come una sfera in espansione di un infinito numero di punti, e siamo tutti diversi, ogni singolo punto. Tuttavia, quando immaginiamo il nostro nucleo collettivo – andando indietro nelle generazioni umane, indietro a tutte le specie, indietro a tutti i pianeti, indietro a tutto l’universo… se torniamo veramente alle origini da cui proveniamo – se andiamo là, al nostro puro nucleo di realtà – troviamo la nostra sorgente, e là noi siamo uno.”

Si guardò le mani per un attimo e poi le mise in grembo. “Questa è la prima cosa più interessante per me. E come questo sia riuscito a scivolar via dalla nostra comprensione, è la seconda cosa più interessante per me. E poi l’altra è.. beh, suppongo che sia come ricordare questo e mantenerlo nello spaziotempo.”

Riportò lo sguardo sull’uomo, gli occhi due globi di luce che brillavano nel cielo del crepuscolo.

“Perché, per lei, sono queste le cose più interessanti?”

“Non lo sono per te?” ribatté la donna sorpresa.

Il giovane scosse il capo. “Non veramente.”

“E perché?”

“Noi siamo tutti diversi, questo lo capisco” replicò l’uomo. “Ma la parte dell’unità (oneness) quella no. Da quando abbiamo parlato insieme l’ultima volta, ci ho pensato continuamente. Immaginare la nostra unità, immaginare ciò che sta dietro una cosa dopo l’altra… non riesco a vederla. Non riesco a sentirla. È come… del vapore in una stanza buia.”

La donna sorrise. “Hmm.”

“Ebbene?”

“Ebbene, l’unità è difficile da vedere. Devi guidarla dentro la tua vita, perché essa vive attraverso di noi e la nostra immaginazione; quel che noi usiamo per immaginare l’interconnessione, è stato allenato a immaginare la separazione, non l’interconnessione.”

“Allora, come modifico questa… questa prospettiva condizionata?”

“Vedendo tutte le parti della tua vita come l’espressione di una interconnessione.”

“Tutte le parti?”

“Tu già lo fai. Tutti lo fanno. Tutti sanno di essere interconnessi a tutta la vita. È soltanto difficilissimo tenerlo a mente in mezzo al torrente della propaganda della separazione che costantemente ci bersaglia. Veniamo allenati da bambini a lasciar perdere la percezione e la conoscenza che noi siamo interconnessi. E una volta persa, il viaggio per ritrovarla e di nuovo appropriarcene può essere difficile.”

Il giovane comprendeva in parte, ma una cosa lo assillava. “Ma la parte della coscienza uno, molti e tutto che è il molti, beh… è come noi viviamo… in gruppi” disse con emozione. “Abbiamo le famiglie, i gruppi di lavoro, le nostre città, gli stati, la politica, gli eventi comuni, le assemblee religiose, abbiamo tutte queste cose, e loro sostengono il nostro senso di connessione. Perché avremmo bisogno di altro?”

“Non ne avremmo bisogno se non avessimo la nostra realtà di base nella dualità di spaziotempo. Poiché viviamo in questo mondo, nel momento in cui abbiamo l’interconnessione fondamentale avremo anche la separazione fondamentale, e da queste due cose tutte le altre dualità originano. Il Molti è il ponte tra il sovereign e l’integral. In ogni dualità vi è un ponte. Il trucco consiste nell’attraversare quel ponte e non soffermarsi allo specchio della separazione che pende verso l’uno o l’altro lato.”

“Ha detto che noi tutti sappiamo di essere interconnessi a tutta la vita… in che modo?” chiese l’uomo con espressione dubbiosa.

“Se qualcosa viene escluso” rispose la donna, “il Tutto non può essere interconnesso. L’Unità (Oneness) non può esistere se non c’è tutto. Questo è ovvio, no?”

Il giovane poteva vedere nell’oscurità il capo della donna annuire sapendo che si trattava di una domanda retorica.

“Noi viviamo in un mare di energia” continuò la donna. “Questa energia è tutta un’unica cosa infinita. Vive e si muove nella separazione, perché la separazione è connessa all’Uno e al Tutto. Nella coscienza uno, molti e tutto, il molti è il punto di separazione, ma è anche il punto di integrazione; pertanto è un ponte, ma ogni estremità di questo ponte è una realtà a sé stante. Su un lato c’è una singola vita, una realtà individuale; e sull’altro c’è la realtà interconnessa del tutto. E tra i due abbiamo il sovereign all’interno dei gruppi. È la parte di coscienza che è l’architetto della separazione nel nostro mondo umano, ed è anche il ponte tra l’Uno e il Tutto.”

“Com’è esattamente questo ponte?”

La donna si schiarì la gola. “C’è la storia di una donna che era un’artista… un’artista rappresentativa. Decise che sarebbe stato interessante sapere che cosa un dipinto provasse quando veniva osservato in un museo. Organizzò di mettersi in mostra in un museo e si appese alla parete con cinghie e ganci.

“C’era un piccolo piedistallo su cui poteva stare, alto poco più di un metro da terra. Si legò, perché il piedistallo era in sé stesso molto stretto. Sotto ogni aspetto era esposta come se fosse un dipinto alla parete, c’era anche la targhetta che descriveva ciò che era, di quale materiale era fatta e il titolo…”

“Che cosa diceva la targhetta?” chiede il giovanotto.

“Pelle sopra un’Anima, Carbonio 1,60×55… qualcosa del genere, ma il punto che intendo è che si era offerta come ponte tra due mondi: l’osservatore e l’osservato. In questo caso, un dipinto e un osservatore umano.”

“E quali furono le sue conclusioni?”

“Nel giro di pochi minuti, le persone la stavano giudicando, toccando, le solleticavano i piedi, le punzecchiavano le gambe con degli oggetti, le imprecavano contro. In generale, per lei fu un’esperienza penosa. La lezione che ne ricavò, comunque, fu che lei non era un dipinto alla parete, era uno specchio. Un dipinto, se fatto bene, ti attira in un nuovo mondo, un mondo che non era mai stato visto prima. Uno specchio semplicemente riflette il mondo che già c’è.”

L’uomo sollevò una mano. “E come risponde questa storia alla domanda sulla parte della coscienza che lei chiama il molti, e a come il molti è un ponte tra l’uno e il tutto?”

“La coscienza è il nostro nucleo. La condizione umana è la nostra superficie. La coscienza è l’uno, il sovereign. Ed è anche il molti, che è il sovereign nei gruppi della specie. Ed è il tutto, che è ogni cosa e ognuno in ogni spaziotempo. La coscienza uno, molti e tutto include la separazione e tutto al suo interno. Il Sovereign Integral è l’uno e il tutto, ma quando vive in una realtà umana, nella dualità di spaziotempo, il Sovereign Integral diventa il molti. Non è né un sovereign né un integral, diventa, invece, un umano, o un porcospino, o una balena, o un albero, o un’ape mellifera. Diventa questi incorporamenti materiali.

“Quando lo fa, perde memoria del Sovereign Integral, che silenziosamente osserva dal nucleo stesso della realtà. Osserva la realtà della separazione. Trova modi per raggiungere la realtà umana del suo sé sovereign e questa parte umana può allora diventare un ponte tra i mondi del sovereign e dell’integral.

“In un certo modo, è il molti – il sovereign nei gruppi – che fa entrare l’uno e il tutto permettendo loro di interconnettersi nel sovereign. Quando succede, l’umano si identifica come Sovereign Integral e il suo comportamento si allinea spontaneamente all’interconnessione. Non respinge la separazione come se fosse una realtà inferiore, ma vede la separazione come il ponte tra la creazione e l’origine.”

L’uomo sollevò una mano. “Se la donna che personificava un quadro era in realtà uno specchio, come si collega a un ponte questa storia?”

“Lo specchio mostra il presente. È l’unica immagine che sa proiettare. Uno specchio non ha alcuna immaginazione, non ha alcun senso del futuro, non ha alcun tipo di interesse per il futuro. Il dipinto, d’altro canto, può fare tutto. Non ha limiti. Può raffigurare la nostra immaginazione.

“Così è con i ponti: sono le nostre immaginazioni liberate dallo specchio.”

La donna tacque per un momento e riunì le mani a coppa per indicare che desiderava dell’altra acqua. Il giovanotto si scusò per non avergliela offerta e gliela versò con cura dalla brocca. Poi ne prese un sorso egli stesso.

“Energia è coscienza: la coscienza uno, molti e tutto, di cui tutti noi siamo parte. Però ci è permesso di essere dei sovereign. Ci è permesso di avere la nostra propria realtà, di percorrere ciò che creiamo.”

“Suppongo che abbia senso…” ammise l’uomo. “Semplicemente non sembra giusto prendere qualcosa di male o brutto, o di ingiusto, agitarci sopra la bacchetta magica dell’immaginazione e vederlo di colpo come parte di una totalità che è tutta interconnessa.” Scrollò le spalle come incredulo.

“Perché?”

“Perché se il male fa parte della totalità, allora sto accettando che il male vada bene. L’essere male è difendibile. E ciò non permetterebbe alla nostra realtà di dare più spazio al male?”

“Noi siamo qui per sperimentare un infinito palcoscenico di espressioni, e ci viene dato il libero arbitrio di creare all’interno di questo mondo. Una volta che questo mondo vede l’interconnessione invece della separazione, si può creare un più fine equilibrio tra queste due forze fondamentali.”

Fece un’altra pausa. “Hai ragione, le cose che sono etichettate come male o cattive fanno parte del tutto, ma quel tutto è stato imbevuto delle acque confuse e fangose della dualità di spaziotempo, e ha adottato la separazione perché la sopravvivenza incombe con maggiore immediatezza e forza rispetto all’interconnessione.”

“Quindi sta dicendo che più puntiamo un dito moraleggiante e ostracizziamo il male, più il male diventa forte?”

“Sì, questo è il mio punto di vista. Il male nasce dalla separazione. Più l’umanità percepisce la sua interconnessione con la vita, più allora il male recederà verso un equilibrio dove non sarà più così forte ed estremo. Sarà come un fastidio che disturba molto, ma per il suo bruciore è solo questione di tempo, così che sia facile da lasciare e perdonare. Non ti sembra logico?”

“Lo è… ma resta la questione dell’amore o della bontà. Se il male viene portato a un più stretto equilibrio, allora non dovrebbero diminuire anche l’amore e la bontà? E lo sarebbero perché, e lo ha detto lei, entrambi sono equamente rappresentati.”

“Eccoti di nuovo a vedere l’interconnessione come bene e la separazione come male. Io sto dicendo che quelle mura che separano queste due cose, per quanto l’interconnessione e la separazione siano elementali, ebbene, devono essere abbattute. I due sono un uno, e separarli è confonderci e pertanto vivere nella confusione.

“Comunque, nella dualità di spaziotempo l’interconnessione e la separazione congiunte possono essere considerate come un veicolo, e tutto la manifestazione di spaziotempo come il conducente collettivo di quel veicolo. Nell’equilibrio, il conducente può guidare il veicolo verso l’interconnessione; nella disarmonia, il conducente può guidare il veicolo verso la separazione.

“Potremmo immaginarlo in questo modo…” continuò la donna. “Nel nucleo noi siamo una cosa; in superficie siamo un’altra. Siamo due creature che vivono in un solo corpo. Siamo coscienza nel nostro nucleo e siamo la condizione umana in superficie… rappresentata da corpo, mente, cuore, ego e subconscio. La parte di noi che è coscienza è connessa all’energia del campo che alimenta tutte le cose. La parte di noi che è la condizione umana è connessa alla cultura della separazione.

“Queste comprendono la dualità fondamentale, da cui tutte le altre dualità originano. Questa dualità fondamentale è la nostra realtà. È così intrinseca nella nostra realtà che noi neppure la vediamo. Le due creature che vivono in un unico corpo devono diventare partner. Devono trovare un nuovo allineamento, una nuova Stella Polare di interconnessione. Devono vedere che la cultura della separazione ha ridotto la loro capacità di immaginare il potere che hanno in quanto parte della coscienza uno, molti e tutto.

“E questa riduzione le ha lasciate dipendenti e moraliste, ansiose e combattute, mentre per tutto il tempo avevano quest’altra creatura, la coscienza, che avrebbe potuto salvarle.

“Che le avrebbe salvate…

“Che può salvarle…

“Che le salverà…

“Che le ha salvate.”

Il giovane aveva lo sguardo lontano, perso nei suoi pensieri. E poi, improvvisamente, fu come si risvegliasse. “In che modo le avrebbe salvate? Come può la coscienza salvare qualcosa? Non è materiale.”

“La coscienza fa parte di questo campo di unità” replicò la donna. “L’unità è dove il potere dell’energia collettiva vive e si muove, ed ha la sua realtà. E la sua realtà include questa realtà – la realtà umana, che è centrata in un momento del tempospazio.”

“In che modo intende… include?” chiese l’uomo.

“La realtà della coscienza, come campo di unità, è dove il potere vive. Puoi portare questo potere nella realtà umana per far progredire la comprensione dell’interconnessione, o puoi usare questo potere per far progredire la comprensione della separazione. Uno si espande al Sovereign Integral, l’altro ci concentra sull’uno: l’individuo nella condizione umana dove la separazione è forte e viene favorita.

“Questi hanno una relazione di dualità in superficie, ma di unità nel loro nucleo. È come la respirazione. C’è un ritmo, e non richiede pensiero, volontà, tecnica o sforzo. L’inspiro ha una funzione diversa dall’espiro, e si muovono in direzioni completamente differenti, eppure condividono lo stesso fine, tenerci in vita. Senza entrambi, moriamo. La coscienza uno, molti e tutto ingloba l’atto della respirazione. Ingloba tutte le cose perché questo è ciò che è. Non è una scelta creata o guadagnata, è la realtà.”

“Sta quindi dicendo che noi viviamo in realtà multiple e soltanto una è reale?” chiese l’uomo.

“Sì.” La donna sospirò e si sedette sui chiari massi calcarei che circondavano il pozzo. “Quando si ha una relazione, questa crea un legame. La qualità di questo legame, nel tempo, è che la distinzione tra i due diventa meno importante, e il tempo passato insieme e l’esperienza sono gli input a una condivisione di percezione che crea il legame. La realtà della coscienza uno, molti e tutto è a che cosa la realtà umana è legata. Ha una realtà nello spaziotempo che consegue a quella dualità fondamentale di interconnessione e separazione.

“Ogni specie ha la sua propria relazione con la sua realtà e la realtà dell’unità. È intrinseca nel DNA. Quando diventiamo parte di una specie, apprendiamo come sopravvivere, e a partire da questo apprendimento diventiamo un’entità separata. Nel nostro caso, un individuo della condizione umana. Un individuo della separazione con una sola relazione: la dualità.

“Ciascuno di noi impara, nella dualità di spaziotempo, a vivere la propria vita come Sovereign Integral in mezzo alle forze della dualità. A un certo punto di questo nostro viaggio, desideriamo far progredire la realtà fondamentale dell’interconnessione rispetto alla realtà superficiale della separazione. Diventa una scelta cosciente. E quando questa scelta è fatta, noi possiamo riunire la nostra mente e il nostro cuore fondendoli a tal fine. E quando questo è fatto, gli incorporamenti che creiamo fanno progredire l’interconnessione. Diventano esponenti dell’unità.”

Il giovanotto si rivolse alla donna scuotendo un po’ il capo. “Pensa davvero che la gente voglia comprendere queste cose così… astratte? Che le cose che sta dicendo siano importanti per la vita di tutti i giorni? Il nucleo e la superficie saranno una cosa sola, come dice, ma è la superficie che importa a tutti nella vita, diversamente le cose che sono difficili e pressanti… diventano solo più difficili.”

“Questa è la nostra vita quotidiana” rispose la donna. “Soltanto che non ci è stato insegnato a riconoscere le nostre realtà nucleo e superficie nell’unità, e quindi vivere questa unità nella nostra vita. Se lo facessimo, la realtà della superficie rifletterebbe la realtà nel nostro nucleo e, in quel nucleo di noi, c’è la cosa importante: noi siamo un sovereign e un integral nel contempo.”

“Ma i nostri maestri, e anche intere società, ci hanno sempre detto che noi siamo dei peccatori, e se non peccatori, allora profondamente dentro di noi siamo animali, e nulla più. Lei sta ridefinendo la nostra essenza. E quale prova ha? Come si prova che la nostra essenza non è ciò che ci hanno insegnato?”

“Il nucleo è una coscienza che vive in una creatura. Ma questa è una creatura che non abbiamo mai visto, udito, compreso, di cui non ci siamo mai accorti o ricordiamo. Pertanto, noi non sappiamo che cosa questa creatura sia…”

“Aspetti un attimo” l’interruppe il giovane. Perché continua a chiamarla una “creatura”? Quando utilizza quella parola per descriverlo fa sembrare il nostro nucleo pericoloso.”

“Creatura è semplicemente la parola che uso perché implica un qualcosa di non categorico. Tuttavia, talvolta chiamo questo nucleo di noi “cosa”, un termine che non implica un’intelligenza che ha vita, no? Ma questa cosa nel nostro nucleo … beh, è molto viva e intelligente. Solo che al suo interno non ha neppure una particella della nostra realtà di superficie. È… hmm… è come un’identità sovrana che vive in un mondo di totalità e unità, e quando entra nella dualità di spaziotempo rinuncia volentieri a questa memoria a favore della realtà in superficie.

“Creatura è anche una buona parola perché implica qualcosa che è libero e anche imprevedibile perché è libero. Una creatura selvaggia è diversa da una creatura domestica. Il mondo della superficie cerca di addomesticare il nostro nucleo; cerca di farlo ricadere in linea con la nostra condizione umana. Le parti sovereign e integral di noi, che dimorano nel nucleo, sono creature selvagge perché la loro volontà proviene da una diversa realtà, e questa realtà è interconnessa.

“In un certo senso è un animale; ma la coscienza uno, molti e tutto non è un corpo che può essere visto, e per una semplice ragione: come si può vedere la totalità di tutto? Dovresti esserne al di fuori, ma se ne sei fuori non fai parte del tutto. Hai creato un nuovo mondo e ora vivi lì.”

“Ancora non mi piace la parola creatura.”

“ Allora suggeriscine una migliore.”

“Ha detto che il sovereign e l’integral, l’uno e il tutto, costituiscono il nostro nucleo.”

La donna annuì.

“Allora perché non chiamare questo nucleo Sovereign Integral?”

“Una parolona…” fece notare con un sorriso a fior di labbra.

“Allora, accorciamola in SI” suggerì.

“Sono d’accordo con questa proposta, se ti è d’aiuto.”

“Penso di sì. Mi dà l’impressione di essere passati dalla poesia alla filosofia. Non ho davvero l’occhio del poeta.”

“Che sia SI” concesse, e subito continuò.”Il SI… noi non abbiamo mai sperimentato questa coscienza in tutta la nostra vita. Sarebbe come uscire dalle profondità di una caverna in cui abbiamo vissuto da sempre e, in un istante, trovarci a volare oltre le nuvole. Non si vedrebbe un solo filo comune da questa realtà all’altra.

“La differenza tra l’esperienza umana e l’esperienza del SI è ancor più grande. Il SI è una specie di per sé. Lo psichismo, il viaggio astrale, l’allucinazione prodotta da droghe, il sogno lucido: tutti questi avvengono in realtà alternative create dall’uomo. Queste realtà sono specifiche per ciascuna specie, il che ti dà qualche idea di quanto siano veramente vaste queste dimensioni della realtà. Tuttavia, il SI ha il suo proprio set di realtà, e queste realtà non condividono nessun filo con il tessuto umano di una qualsiasi dualità di spaziotempo.

“Ciò che mi sto forzando di esprimere è che noi non sappiamo che cosa siamo quando siamo incarnati nella dualità di spaziotempo; e, per questo motivo, non possiamo comportarci come siamo. Tutti noi questo lo comprendiamo quando siamo in quel luogo di bilanciamento tra il cuore e la mente. Questa è la compassione che proviamo l’uno per l’altro. Noi comprendiamo che la dualità dell’interconnessione e della separazione è il gioco che vogliamo giocare, e il solo modo di giocare questo gioco è se si è separati. Se ci si divide da una cellula a due, da quattro a sedici, e ancora e ancora…

“Dentro il molti – i gruppi sociali e le affiliazioni – abbiamo la separazione, che alleva il conflitto che crea le lezioni da imparare e i significati da comprendere. Ogni singolo essere che giunge in questa dimensione capisce questo fondamentale aspetto della vita. Ogni singolo essere parte da una tabula rasa, da un nucleo vibrante accoppiato a una crescente sensazione di densità e di un sottostante programma sviluppato per una conformità civile.

“Comunque, sono tutte queste cose che attivano l’apprendimento e la comprensione della separazione; il modo in cui la separazione può infine essere messa a servizio laddove l’umanità esprime il suo senso di interconnessione in bilanciamento con la separazione. Non viene a sgominare la separazione, emerge per condividere, collaborare e gestire i capricci della separazione. È una collaborazione interna alla dualità di spaziotempo, e questo è precisamente ciò che succederà, per quanto nessuno sappia come e quando.”

La donna tacque e fece cenno al giovane per dell’altra acqua, che lui subito le offrì.

Finito di bere lo ringraziò con un cenno del capo. “Per vivere a queste altezze” disse, “occorrono anni di adattamento all’aria rarefatta, ma ci si adatta. Però, se si parla a lungo si diventa rauchi.

È un’aria così secca. A questo non ci si adatta quasi mai.”

L’uomo annuì comprensivo, poi il suo sguardo si fece perplesso. “Se il SI è una specie separata, e le sue realtà nella dualità di spaziotempo differiscono dalle nostre realtà umane, allora non c’è nessuna intersezione?”

“Questa è una bella domanda. Sì, ci sono sempre realtà che si sovrappongono. Punti in cui esiste un’intersezione tra le realtà delle specie. Deve esserci, o non ci sarebbe alcuna totalità che tiene le cose insieme.”

“E qual è?” chiese l’uomo con interesse.

“Hmm…” mormorò la donna. “Se potessi indicartelo, non lo vedresti, così abbandona quella speranza.” Chiuse gli occhi rimanendo immobile come impietrita. “Il luogo dell’intersezione è diverso per ogni punto della realtà. Non è una singola cosa, è una cosa infinita. L’intersezione più vicina è sempre la sensazione e la visualizzazione immaginativa dell’interconnessione.

Tuttavia, allo stesso tempo dobbiamo comprendere che la nostra immaginazione sta imbrigliando i nostri sentimenti e pensieri, così da poter diventare un proiettore luminoso per queste intersezioni.

“Noi raduniamo pezzi del SI e li ricomponiamo nel nostro mondo. Poi indichiamo questa ricomposizione che noi abbiamo creato, pensando che la nostra immagine del SI sia anche quella che tutti dovrebbero credere, e anche onorare e adorare. Ma questi pezzi non possono essere riuniti mostrando la cosa totale.” Di colpo allargò le braccia. “La cosa totale non entrerà mai in questi mondi di dualità di spaziotempo, non più di quanto tu possa entrare nella casa di un’ameba.”

Tacque e aprì gli occhi. “Lo capisci?”

“Forse un po’… più di prima, almeno” l’uomo sospirò. “Ogni specie ha le sue proprie realtà… anche i loro mondi onirici, astrali e mentali? Queste altre dimensioni sono tutte diverse ovunque nell’universo? Come può una mente… estendersi a tali estremi?” e scosse il capo incredulo.

“Non può, questo è il mio punto.”

“Quindi, neppure tentare? È questa la risposta?”

“Se noi continuiamo a inseguire le ombre del SI ed effimeri punti di intersezione, rimbalzeremo tutt’intorno alle nostre realtà come in un biliardino. Però abbiamo il privilegio di immaginarlo e di sperimentarlo al massimo della nostra capacità. Facendo così, possiamo trarre il SI dal nostro nucleo ed esprimerlo alla nostra superficie, e suppongo che le parole siano il modo più facile per esprimerlo.”

“Così le parole diventano la prova…”concluse l’uomo come un fuoco che si spegne.

“Le parole hanno potere. Ci connettono al campo. Le parole che emergono dal nostro nucleo differiscono dalle parole dei mondi che troviamo in superficie. Quelle sono le parole del molti. Le parole ci guidano all’espansione oppure ci guidano alla condizione umana individuale e alla separazione. Ma sono delle guide, puoi starne certo.”

“Le sue parole non sembrano venire dal nucleo.”

“Perché?”

“Il nucleo è il luogo dove ogni cosa ha origine, e da lì si espande… fino a manifestarsi alla superficie. Il nucleo è un singolo punto. Quindi la superficie è più ampia e il nucleo è… minuscolo. Le sue parole non sembrano poche. Sembrano più di quelle che leggo o sento in piazza, al lavoro, o a tavola durante la cena.”

“Ma, vedi, il nucleo è la cosa che ti interconnette al tutto. Non è minuscola. È il Tutto”

“Allora… qual è la prova?”

“Tutti vogliono la prova” esclamò la donna alzando le mani, “…come se potesse essergli data! Dovrebbe essere ovvia. Dovrebbe rispecchiarsi ogni volta che guardo. Dovrebbe essere in attesa di presentarsi a ogni angolo della vita. Non funziona in questo modo, e non funziona in questo modo a nostra richiesta. Questa cosa, questa creatura, questo inconoscibile tutto, questo Sovereign Integral, desiderò rimanere nascosto e sconosciuto in un mondo che è separato da sé. E poiché noi siamo origine, noi con esso siamo allineati e d’accordo.”

“Ma senza prova… siamo dei semplici credenti” disse l’uomo scuotendo il capo. “E i credenti si sono sempre persi nella loro fede, sempre alla ricerca di un ulteriore conferma che l’universo, o comunque si voglia chiamare questa creatura… questo SI, stia ascoltando le loro preghiere. Se c’era un genio, e noi lo abbiamo chiamato Dio, saremmo degli idioti a non chiedergli di darci ciò che desideriamo. Giusto?”

“Sì, in un certo senso hai ragione” rispose la donna con sua sorpresa. “Ma il genio è il campo di unità di cui ho parlato prima, e questo campo è accessibile attraverso il nostro nucleo. E il nostro nucleo è accessibile quando fondiamo il cuore e la mente per portare questa interconnessione alla superficie della nostra realtà, dove la nostra condizione umana vive. E questo processo, nella dualità di spaziotempo, diventa la nostra prova. Gli incorporamenti che noi creiamo non solo sono la nostra prova, ma sono la prova per l’intero campo di unità di cui noi tutti siamo una parte.”

L’uomo distolse lo sguardo, fissando lontano come a cercare nuovi orizzonti. “Perché dovremmo disturbarci a estrarre i mondi dalla realtà del nostro nucleo? Non è già stato fatto prima, anche un milione di volte? Perché condividere queste parole o azioni, o anche pensieri e sentimenti? Perché?”

La donna sorrise al suo stupore. “In cent’anni. In mille anni. In diecimila anni. Non pensi che ci saranno degli umani a estrarre queste espressioni qualsiasi forma prendono, e a presentarle sui media del loro spaziotempo? Vedi, il mezzo cambia, e quindi il messaggio cambia. La nostra coscienza evolve e quindi il messaggio evolve. Questo è vero per l’unità come è vero per la separazione. Fin tanto che esiste la dualità di spaziotempo, ci sarà questa evoluzione del mezzo e del messaggio.

“Ci saranno sempre artisti, poeti, scrittori, scienziati, filosofi e intelligenze ancora a venire. Questo è inevitabile. E coloro che scelgono la separazione, diventano la ragione per il ritorno di coloro che scelgono l’interconnessione. E quelli che scelgono l’interconnessione, diventano la ragione per il ritorno di coloro che scelgono la separazione. È tutta una grandissima danza tra questi due elementi fondamentali della dualità e come si esprimono in una specie.”

“Sembra davvero fondamentale” commentò il giovane. “Voglio dire… ciò che lei dice ha senso per una parte di me. Un’altra parte, forse la più grande, mi agita un dito davanti e dice: non farti prendere da questa astrazione… non ti porta da nessuna parte rispetto a dove devi essere.”

“Allora ascoltala” disse la donna.

“Intende dire, andarmene via?”

“Sì.”

“Ma una parte di me ha ancora fame. Ancora vuole capire tutto questo. Sarebbe un grande sollievo anche solo sapere ciò che sta veramente accadendo e perché, e in che modo il tutto mi riguarda. Non ha senso questo?”

La guardò con occhi speranzosi e brillanti nella luce che s’affievoliva.

“Ho scoperto che queste pietre sono proprio dure come pensavo che fossero.” La donna sorrise e indicò una vaga sagoma che s’intravedeva a distanza. “Andiamo a sederci sotto quel pino e approfittiamo del suo soffice tappeto di aghi. E lì cercherò di rispondere alla tua domanda.”—