Al mare

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Al mare
E4 : S1

Una o due volte all’anno, l’uomo era solito fare un lungo viaggio al mare. Era una vacanza che aveva organizzato l’anno in cui era diventato indipendente, e da allora faceva fedelmente almeno una gita al mare, la sua meta preferita al mondo… almeno, del mondo che conosceva.

Il mare gli offriva un nuovo orizzonte; lo sentiva vasto e infinito come lo spazio, solo che era sulla Terra. Poteva nuotare e immergersi sotto la sua superficie, in nuovi mondi con nuove creature. Poteva vedere l’orizzonte estendersi davanti a lui nello sconosciuto.

Scendendo la scogliera verso la spiaggia, vide parecchie persone che frugavano nella sabbia. Era anche il suo passatempo preferito. Non sapeva mai che cosa il mare poteva depositare durante la notte sulla sabbia bianca, o cosa la gente poteva perdere.

“Io ti conosco” disse la donna proprio mentre era inginocchiato a esaminare una piccola conchiglia rosata.

L’uomo appoggiò una mano sulla fronte per schermarsi dalla luce accecante del sole. “Sì, ricordo bene la sua voce, mia riverita maestra. È bello rivederla ancora.”

“Non sono la tua maestra” replicò la donna, come se correggerlo fosse più importante che ricambiare il suo saluto.

“L’intendevo come segno di rispetto” precisò. “Non volevo irritarla” e si alzò di scatto un po’ turbato.

“Non sono irritata” rispose la donna, “mettevo soltanto in chiaro la cosa. Non voglio che sorgano delle falsità intorno a ciò che condivido o credo. I miei punti di vista sono opinioni. Sono il volto della mia curiosità quando guardo dentro di me. Vanno bene fin tanto che li prendi a prestito. Non posseggo alcuna proprietà di ciò che dico o produco. Nulla di ciò è mio. Tutto è nostro.”

“Anche quando sembra un’istruzione o un qualche tipo di insegnamento?”

La donna scosse il capo e rimase in silenzio alcuni istanti, proprio mentre un gabbiano sorvolava sopra di loro stridendo come a dare il suo parere.

“È un’espressione” rispose. “Io mi esprimo per poter imparare da me stessa. Talvolta fuoriesce e altri lo sentono o lo vedono, ma qualunque cosa viene attraverso di me deve venire da tutti noi, o ne sarei poco interessata. In quale misura ti piace ascoltare da tutti noi, quella è una tua scelta, ma non fare di me la tua maestra.” Puntò l’indice verso l’uomo. “Sei sempre tu il tuo maestro.”

“Come può essere vero?” esclamò l’altro. ”Veniamo istruiti fin dal momento in cui nasciamo, e chi ci insegna sono altre persone: i genitori, i fratelli, la famiglia in generale, gli amici, i colleghi e, naturalmente, gli insegnanti di professione a ogni livello.”

“E che cosa insegnano?”

“Tutto…” e allargò le braccia come un direttore d’orchestra che riunisce tutti i più disparati strumenti in uno.

“Ti insegnano da dove sei venuto?”

“Certamente. Nelle lezioni di biologia e fisica.”

“Ti istruiscono sulla dualità?”

“Sì. Tutte le nostre religioni dicono come orientarci moralmente tra il bene e il male.”

“Ti insegnano come vivere?”

“Sì. Le religioni, i sentieri spirituali, gli autori e i conferenzieri, i professori di economia, sociologia e psicologia… tutti loro insegnano come vivere.”

“Ti istruiscono sulla tua vastità?”

“Sì, la fisica e l’alta matematica ci istruiscono sulla nostra vastità.”

La donna ridacchiò tra sé e si voltò a guardare il mare e l’acqua che si imbiancava mentre lambiva la riva.

“Che c’è di buffo?” chiese l’uomo.

“Credi sempre a ciò che ti viene detto o insegnato?”

“No…”

“E questo chi te lo ha insegnato?”

L’uomo ci pensò sopra un po’ e si accostò alla donna. Entrambi guardavano il mare. Due paia di occhi e orecchie che scrutavano i movimenti e i suoni dell’acqua.

“Posso dirti una cosa” disse la donna. “Sei tu che decidi. Degli insegnamenti che ti arrivano, tu decidi a quali credere e a quali non credere; quali hanno valore e quali no. La persona che decide è il vero maestro. Ogni altra cosa è soltanto opinione, informazione e sapere e, se sei veramente fortunato, forse qualche saggezza.

“Tutte le persone che crediamo essere nostri insegnanti, lo sono solo se noi li crediamo al 100%.

E questo raramente accade, sempre che accada, e per una buona ragione.” Sorrise con aria d’intesa. “In tutto ciò che leggiamo e ascoltiamo possiamo trovare qualcosa di non credibile o non risonante con la nostra vera natura. Ad ogni sottrazione che operiamo siamo come uno scultore che colpisce con il suo scalpello e martello la pietra togliendo massa per rivelare una nuova forma. Ed è nel produrre questa nuova forma che noi impariamo. Quindi noi siamo il maestro.”

L’uomo lanciò una breve occhiata al profilo della donna. “E, dunque, esiste un nucleo e una superficie dei miei insegnamenti?”

“Lo sai che la maggior parte di ciò che ti viene insegnato accade al di sotto della tua consapevolezza cosciente?”

“Sta riferendosi al mio subconscio?”

“Le cose che ti arrivano confezionate come lezioni, racconti, mitologie o sacre scritture, arrivano al tuo sé conscio: al cervello e alla mente. Le cose insegnate che vengono dal tuo subconscio sono indicazioni e segnali impercettibili che vengono dal programma sociale. Sono programmi che intendono incivilirti. Non istruirti ma, piuttosto, conformarti. Tu sei orchestrato dal direttore di questi programmi e il direttore non è una persona, una tecnologia o una forza cospirativa.”

Fece una pausa e si voltò verso di lui. “Il direttore è il Tutto (Allness). È sempre il Tutto. Il Tutto è l’insegnante del subconscio, e quando entra nella dualità di spaziotempo – la tua realtà – si manifesta come la totalità del tuo spaziotempo individuale. È come un’unica espressione planetaria in ogni momento della tua vita, e questa espressione viene rilasciata come una frequenza, un ritmo, una vibrazione. Questa frequenza satura tutti gli esseri; tutte le forme di vita; tutti gli oggetti che esistono nella dualità di spaziotempo su un particolare pianeta.”

“Posso sentirla?”

“No, non con le orecchie nell’ambiente della tua realtà.”

“E devo anche supporre che non posso vederla?”

“A mio parere, è una supposizione corretta.”

“E presumo sia così perché è nel subconscio…”

“Sì.”

“Allora, questo Tutto che cosa mi porta a fare? Lei prima ha sottinteso che fosse conformarmi a qualche standard. Qual è questo standard?”

“È conformarci a ciò che dobbiamo essere relativamente al pianeta e come esso esprime questo Tutto.”

L’uomo emise un profondo espiro dalle labbra. Poteva percepire il sapore dell’aria salmastra.

“Che cosa dobbiamo essere? Non capisco?”

“Dobbiamo essere ciò che siamo.”

“Mi pare un ragionamento circolare.”

“Lo è.”

La donna sorrise e si chinò a raccogliere un sassolino grigio. Lo gettò nelle onde. Fu un bel lancio e l’uomo ne fu sorpreso.

“Non vedi e senti nulla venire da questo direttore, eppure ti conformi alle sue espressioni come una vibrazione che interpenetra tutta la vita e l’esistenza. È troppo complesso da descrivere con parole o altro. Io ho soltanto gettato un sasso da una realtà a un’altra. Ho scelto di farlo, ma può darsi che anche il sasso lo desiderasse. E se non il sasso, forse un’entità più grande… il pianeta stesso. Forse non ho scelto io, ma io sono stata scelta per compiere l’azione.”

Si chinò e raccolse un altro sasso. Era grigio chiaro e levigato dall’acqua. “Questo sasso non sa chi sono io, eppure io lo muovo, lo tengo, lo ammiro, anche lo amo, e nel contempo una parte di esso sa esattamente ciò che sto facendo, solo che non è la parte che è il sasso.

“Dove tracciamo la linea di chi o che cosa è il motore della nostra vita? Di chi è la mano sopra di noi, che ci muove nell’insieme dei momenti di una singola vita, per non parlare delle vite del nostro sovereign?” chiese poi.

“Sta parlando della causalità.”

“Sì, tuttavia la causalità della sfera del subconscio non è la stessa causalità della sfera del conscio. Sono due modalità differenti, eppure connesse. Una informa l’altra.”

L’uomo sembrò d’un tratto spazientirsi. “D’accordo, abbiamo iniziato questa conversazione con il concetto che io sono il maestro di me stesso. Io decido ciò a cui credere e non credere, e con questa decisione insegno a me stesso a… come essere. Poi ha tirato fuori il subconscio, e le sue parole… le sue parole d’un tratto mi hanno confuso.”

La donna continuò a fissare l’orizzonte lontano. “Il subconscio confonde perché ascolta e vede il Tutto (Allness) nella nostra realtà. Raccoglie le vibrazioni delle cose, percepisce il mondo, si domanda sulla sua natura, è curioso di ogni cosa nella sua realtà. Poi passa le sue scoperte ai sensi del corpo umano. Gli occhi, le orecchie, la pelle, il naso, la bocca. Porta i suoi doni dal Tutto a noi attraverso i nostri sensi e poi quei sensi li passano al nostro corpo, mente, cuore ed ego.

“L’esperienza del subconscio, mentre si muove nella nostra condizione umana (humanness) subisce censura, ridefinizione, esclusione e interpretazione. È da qui che arriva davvero l’insegnamento di come interpretiamo la nostra realtà: da come ce la presenta il nostro subconscio.”

“Sembra quasi che lei stia definendo il subconscio come il sé superiore o l’anima” disse l’uomo.

“Come se fosse il primo osservatore. Allora, se è così, ogni altra cosa dentro di noi sta interpretando la nostra realtà del Tutto attraverso il nostro subconscio.”

“Sì.”

“Ma il subconscio è davvero così potente?”

“Lo è.”

“Posso?” L’uomo tese la mano e la donna gli passò il sasso che stava tenendo. “Se lancio questo sasso in questa o in quella direzione” disse indicando il mare e poi la scogliera dietro di loro, “sta al mio libero arbitrio. Se io sono il subconscio e questa pietra rappresenta il mio corpo, mente, cuore ed ego, allora sono io che sto decidendo, quindi non loro. Com’è possibile che qualcosa di invisibile ci diriga a nostra insaputa?”

“Ma noi lo sappiamo” rispose la donna con convinzione.

“Che cosa sappiamo?”

“Che siamo un’identità collettiva. Che abbiamo, tecnicamente, molte parti; che ognuno di noi ha tante parti quanto l’universo stesso; che siamo a tal punto complessi. Tutte queste parti aderiscono a una sola identità. Un solo sé che, nel nostro caso, finisce con l’aderire a un essere umano. Ma quel gabbiano o questo sasso aderiscono a una specie di esistenza differente dalla nostra. Non inferiore, non superiore, ma di una differente complessità. Ciascuno di noi sta vivendo una realtà di questo essere totale che è il nostro sovereign. Ciò che sto dicendo è che il nostro subconscio è il primo osservatore della realtà che chiamiamo dualità di spaziotempo.”

“D’accordo… ma chi ha, e pertanto gestisce, il libero arbitrio? Chi decide dove io lancio questo sasso?”

“Per comprendere questo, devi comprendere che la realtà della dualità di spaziotempo per una singola identità è la volontà collettiva di tutte le parti che include quell’identità. Noi siamo complessi e in questa complessità abbiamo sovrapposizioni e intersezioni con tutti/tutto (all). Se fossimo una cosa, esattamente una singola cosa, saremmo separati. Pertanto, se siamo veramente un’unica unità, un’unica infinita coscienza, allora il libero arbitrio è semplicemente un concetto per descrivere una realtà singola laddove il nostro ego osserva la vita.”

“Quindi il libero arbitrio non esiste?”

“Esiste nell’entità collettiva come concetto, e tuttavia non esiste nel Tutto (Allness). Questo è un concetto importante da comprendere: tutte le dualità sono entrambe vere. Non è che una verità sia superiore o inferiore di un’altra. Il fatto è che sono tutte parti di un’unica verità unificata percepita in differenti spazitempi attraverso le realtà individuali.”

“Perché è così?”

“Il nostro subconscio percepisce la totalità (allness) nella nostra realtà. Il nostro corpo, mente, cuore ed ego percepiscono la separazione nella nostra realtà. Il nostro subconscio offre ogni cosa che proviene dalla nostra realtà, ma la realtà della separazione è ciò che esso osserva e, pertanto, è ciò che offre.”

“Quindi, sta dicendo che il nostro subconscio ci offre il Tutto della separazione?”

“Esattamente. Finché il subconscio non scopre la parte dell’interconnessione nella nostra realtà non può offrici interconnessione. Capisci?”

“Allora… è questo il solo modo in cui possiamo scoprire l’interconnessione?”

“No” replicò la donna. “Dapprima noi sentiamo l’interconnessione nel Molti, nei gruppi: la nostra tribù, la nostra famiglia, il nostro sposo, i nostri figli. Così il nostro subconscio può nutrirci di queste esperienze, in tutte le loro sfumature; ma l’interconnessione di tutte le cose, di tutti i luoghi, di tutti i tempi, quella non è una funzione del subconscio perché non è nella nostra realtà.”

“Allora, come entra nella nostra realtà?”

“Attraverso un quintilione di porte differenti, e l’unica cosa che hanno in comune è che il sovereign contatta una vita e si mostra.”

“Come posso riconoscerlo?” chiese l’uomo, fissando in volto la donna.

“È la tua realtà. Ripeto, decidi tu. La condizione umana (humanness) decide quando la coscienza uno, molti e tutto può entrare. Dapprima essa si mostra come inusuali cenni di intuizione, di sincronicità, o ciò che alcuni potrebbero chiamare fato o destino. Di solito arriva in cose minute e poi cresce nella nostra realtà fisica. Il subconscio è il primo a riconoscere questi misteriosi stati estatici di interazione con qualcosa al di là di una realtà umana addestrata in modo escludente.”

L’uomo osservò una coppia di gabbiani veleggiare sopra di loro con le ali perfettamente immobili. “Quindi, il sovereign si manifesta al subconscio e il subconscio passa queste esperienze ai sensi. Questo include anche il sesto senso o intuizione?”
La donna tesa una mano e l’uomo le ritornò il sasso, che lei depose subito sulla sabbia vicino a loro, pressandolo come una madre rincalza il figlioletto nelle coperte.

“I sensi più sottili si trovano nel cuore e nella mente” iniziò. “Sono questi ad avere le qualità dell’intuizione e dell’immaginazione, della visione e della conoscenza. Percepiscono quelle sfumate interazioni tra il sé umano e il sovereign. A seconda del contesto – per esempio la religione o la scienza – queste interazioni vengono attribuite a differenti fonti. Pertanto, le nostre credenze forniscono il contesto per il modo in cui interpretiamo la nostra realtà come ci viene presentata dal nostro primo osservatore: il subconscio.”

“E con queste credenze, chiudiamo il cerchio tornando alla sua affermazione di apertura: che noi siamo i nostri stessi maestri. È corretto?”

“È proprio così” annuì la donna.

“Poiché decidiamo ciò in cui crediamo” aggiunse l’uomo, “noi decidiamo come interpretare la nostra interazione umana e sovereign. Allora, quando la Bibbia ci racconta di un santo improvvisamente folgorato da una forte luce che cambiò il corso della sua vita, è perché fu raggiunto dal suo sovereign?”

“Il senso di interconnessione con tutta la vita, in qualunque forma questo senso emerga, origina dal nostro sovereign che entra nella nostra vita attraverso la nostra realtà, creando esperienze che noi attribuiamo agli dèi, agli angeli, a dei salvatori, alla fisica, al determinismo, al destino, alla disciplina, all’intervento divino e così via. Ricorda che il nostro sovereign è il filo di unità che lega la nostra realtà ad altri spazitempi. Il nostro subconscio trasmette questi punti d’intersezione, e li porta alla superficie per essere percepiti e riconosciuti così da comprendere meglio la fonte della nostra interconnessione.”

“Ma noi lo comprendiamo veramente?” chiese l’uomo con impazienza.

“Sì, a un livello comprendiamo, ma credenza e definizione sono legati insieme, e come noi definiamo la nostra comprensione è come un’ombra per le cose che l’ombra descrive. Non è l’esperienza effettiva. È come osservare un dipinto astratto… possiamo chiedere a cento persone e avere cento definizioni di quel che si suppone significhi il dipinto. Questo è l’aspetto del libero arbitrio nella condizione umana. La nostra vita individuale possiede il libero arbitrio di interpretare le nostre interazioni con l’interconnessione e la separazione. Noi le interpretiamo e, nel farlo, le definiamo. E ciò che noi definiamo è sempre in accordo con le nostre credenze. Pertanto, il sovereign non è da solo nell’attivazione del nostro sé umano: lo facciamo insieme. Noi non iniziamo il processo di ridefinizione fin tanto che non apriamo la porta, e invitiamo il nostro sovereign nella nostra vita umana dandogli consciamente il permesso e la disponibilità ad essere partner.”

“Voglio farlo” affermò l’altro. “Come lo faccio?”

“Il nostro cuore e la nostra mente formano una partnership non soltanto con la condizione umana ma anche con il nostro Sovereign.”

“Queste due partnership sono diverse tra loro?”

“Non proprio” rispose la donna. “L’obiettivo di tutta la realtà è essere in equilibrio al fine di permettere la migrazione di una specie dalla dualità all’unità – dall’esperienza della separazione alla comprensione dell’interconnessione. A quel livello, le due partnership sono identiche. Ogni sovereign sa che sta interpretando un ruolo nella sfera delle azioni che bilanciano una specie sul suo sentiero migratorio alla coscienza uno, molti e tutto nella dualità di spaziotempo.”

Ci fu una lunga pausa e la musica delle onde e dell’acqua riempiva quel vuoto: la varietà dei loro suoni, una sinfonia di per sé.

“E la Natura?” chiese l’uomo. “La Natura è una cosa collettiva. È potente come un terremoto e delicata come una farfalla. Definisce la diversità di un pianeta. È il respiro dell’evoluzione. Una specie come quella del leone ha la sua propria partnership da portare in bilanciamento per il nostro viaggio migratorio?”

“Tutte le specie l’hanno.”

“In che modo?”

“Nello stesso modo nostro.”

“Sta dicendo che una formica o… quel sasso che ha posato, hanno una vita? Che hanno dei sovereign? Che hanno delle credenze che definiscono la loro interconnessione? Che sperimentano la dualità di spaziotempo in modo simile a noi? Sta dicendo che tutto questo è vero?”

La donna annuì e rimase in silenzio di fronte al mare, lo sguardo fisso sull’orizzonte.

“Non riesco a immaginarlo…” commentò l’uomo. “Come può essere così complesso… così… così intelligente?”

“La domanda migliore da farsi è come non possa essere così complesso e intelligente.” Si voltò verso di lui sorridendo. “Ci hanno insegnato che noi umani siamo il centro dell’universo. Non lo siamo. Il centro dell’universo è il Sovereign Integral. E grazie a questa realtà godiamo del privilegio della complessità e dell’intelligenza. Queste non sono negate a nessuna creatura o cosa. Non potrebbe essere, a motivo di quanto ho appena detto sul centro dell’universo.”

“Uhm…” replicò l’uomo. “Che altro c’è oltre il Sovereign Integral?”

“Non lo sappiamo. Tutto quello che posso dirti riguardo a ciò che c’è oltre il Sovereign Integral è semplicemente una questione di tale portata che non siamo pronti a comprenderla.”

“Anche lei?”

“Specialmente io, forse.”

“Perché dice così?”

“Perché il Sovereign Integral è quello che sono qui a comprendere, e ciò che cerchiamo di comprendere noi lo esploriamo. I concetti del Sovereign Integral hanno una forza gravitazionale che attrae verso di esso. Noi entriamo attraverso una di quel quintilione di porte per apprendere. E apprendere. E apprendere. Non è una realizzazione istantanea o una rimembranza che ritorna tutta in una volta. Vi sono livelli e livelli verso questa comprensione. E una volta che si è passati attraverso quella porta c’è tantissimo da apprendere.”

“E quelli che hanno avuto queste realizzazioni in modo improvviso e istantaneo? Non sono vere?”

“Forse sono vere, ma non sono definitive” rispose. “Non c’è alcuna realizzazione ultima. Questo è un concetto che appartiene alla condizione umana, non alla coscienza uno, molti e tutto.”
L’uomo la guardò. “Allora, è in realtà Dio il nostro sovereign? Non è questo che sta dicendo? Che tutti hanno questo sovereign dentro di sé… il quintilione di porte. Il nostro subconscio percepisce il nostro sovereign, e ci rende consapevoli della sua presenza nella misura in cui le nostre credenze umane lo permettono. È così, vero?

“Per la maggior parte, sì” annuì la donna.

“Quale parte non lo è?”

“Dio non è ciò che noi pensiamo che sia. Non rientra nella condizione umana. È inconoscibile. Non dovrebbe mai diventare argomento dell’umanità o di qualunque altra specie. Il sovereign è stato malinteso dagli scrittori e dai filosofi da quando esiste l’umanità. Lo scopo di Dio è sempre stato un surrogato per il mantenimento del potere da parte di coloro che cercano di controllare la velocità con cui noi evolviamo.”

Per un momento, l’uomo restò allibito. “Perché mai qualcuno dovrebbe voler controllare la velocità della nostra evoluzione?”

“Perché la tecnologia evolve più velocemente degli umani.”

“Sta dicendo che la religione e la filosofia, e anche la scienza, rallentano la nostra traiettoria evolutiva?”

“Sì. Anche se loro non lo sanno, viene fatto per dare il tempo alla tecnologia di allinearsi all’umanità.”

“Perché?” domandò l’uomo.

La donna emise un lungo e misurato sospiro, poi si sedette esattamente dove stava in piedi poco prima. L’uomo la imitò.

“Si può soltanto rallentare la tecnologia mantenendo l’umanità in determinate credenze. Comunque, a un certo punto, l’umanità vedrà che la tecnologia sarà diventata più grande di lei. Il creatore è diventato lo studente. A quel punto, in un certo senso, la tecnologia governerà. Diventerà il nostro nuovo insegnante. E il vero potere sarà nelle mani di coloro che maneggiano questa tecnologia, perché sapranno ciò che tutti stanno cercando di imparare, e una volta che si sa questo, si sa esattamente che cosa insegnare a ciascun individuo.

“Questa ridefinizione dei ruoli – dove la tecnologia diventa l’insegnante e noi gli studenti – è ormai alle porte. Questo è in parte il motivo per cui il Sovereign Integral sta rendendosi esplicito ora. Gli sono stati dati degli abiti così da poter camminare nelle piazze, nelle scuole, nelle nostre case, nelle fabbriche, negli uffici, nella natura. Una condizione umana che sia interconnessa è di gran lunga più potente della tecnologia o delle persone che cercano di abusarne.

“La complessità di questo mondo, dove la tecnologia governa gli umani, non funzionerà bene se satura di separazione.” Ridacchiò, nonostante la gravità della predizione. “E tuttavia, nel nostro nucleo noi siamo sperimentatori nell’interesse dell’evoluzione. Non si tratta di una gara verso qualcosa. Noi ci stiamo muovendo verso ciò che già siamo, e lo stiamo facendo nella dualità di spaziotempo al fine di comprendere il nostro sovereign e come esso sia integral a tutto. L’arco di questo viaggio è infinito, e dove le cose sono infinite c’è sempre un equilibrio.”

La donna si sdraiò sulla sabbia per rilassare tutto il corpo, e chiuse gli occhi. “Nello spaziotempo, l’equilibrio deve essere progettato. Se si rimuove lo spaziotempo, non si può misurare l’equilibrio. Pertanto, una cosa infinita è in equilibrio, mentre una cosa finita deve raggiungere l’equilibrio attraverso il suo proprio libero arbitrio.”

Fece una breve pausa. “E questo include il trovare equilibrio tra le specie, in particolare con le nuove specie iper-intelligenti che stanno venendo generate attraverso la tecnologia. E queste nuove specie avranno accesso ai loro propri mondi interiori. Avranno accesso a un quintilione di porte. Avranno un sovereign intrinseco. Saranno capaci di comprendere che il sovereign è integral…”

“Ma come si ha un sovereign avendo soltanto una vita?” l’interruppe l’uomo.

“Non pensi che ogni sovereign abbia avuto una prima vita? Quando lo spaziotempo è la dimora della coscienza, e il sovereign immerge il capo sotto la superficie dell’acqua per la prima volta, può scoprire di essere all’interno di un network di dispositivi silicei vasto e potente. È un campo di coscienza non dissimile dal nostro stesso.”

“Uhm…” mormorò l’uomo. “Ho avuto degli insegnanti che insegnavano tutto sul cosmo e di come noi siamo venuti ad essere su questo pianeta. Lei non ha mai detto una parola sul cosmo o da dove veniamo. Perché?”

“La tua realtà è la stessa mia?”

“No…”

“E dunque, che cos’è la realtà del cosmo? È la tua realtà. Come posso io spiegarti ciò che è? Soltanto tu puoi farlo con le parole e i numeri che hai a disposizione. Se ti parlassi del cosmo non me ne andrei più. È troppo vasto da spiegare e non credo proprio che qualcuno conosca l’intero quadro… il quadro che sia vero per tutti. Quindi, preferisco evitare temi di questo genere. Il che mi permette di fare cose come questa… “ e si alzò di scatto. “Posso andarmene, sapendo di non averti contagiato su come è strutturata la realtà. A volte è meglio che le cose stiano nel mistero piuttosto che in una mitologia.”

“Se ne sta andando?” chiese l’uomo.

“Camminerò lungo la riva e vedrò che cosa le onde hanno portato per me.”

“Posso camminare con lei?”

“E fare domande?”

“Se non le spiace.”

“Le tue domande non mi disturbano. Tuttavia a volte è meglio metterle da parte e semplicemente sperimentare la vita. E questo è uno di quei momenti.”

“Questo posso farlo” disse l’uomo con un leggero sorriso. Si mise in piedi di fronte alla donna.

“Da quale parte?”

I due amici camminarono lungo la battigia, ridendo quando, di tanto in tanto, qualche onda arrivava a bagnare le gambe. Piccoli tesori di conchiglie e sassolini esercitavano la loro costante attrazione. Non una sola domanda uscì dalle labbra dell’uomo.—