Nel deserto

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Nel deserto
E1 : S2

Era una giornata calma, senza un solo alito di vento, il sole torrido ma non inclemente. Il deserto era una delle mete favorite della donna fin da quando era bambina. Dalle scogliere che sovrastavano la spiaggia era una breve, seppur rischiosa, passeggiata. Quasi nessuno conosceva il posto, e quelli che lo conoscevano lo evitavano per non correre il presunto rischio di perdersi. C’erano molte storie di ignari turisti che dopo aver viaggiato sulle dune di sabbia avevano smarrito la strada per non essere mai più visti.

Dopo aver camminato lungo la riva del mare, il contrasto con il deserto era così netto da togliere il fiato. La donna conosceva un’oasi circondata da dune alte come colline. Percorrere quella distanza non era un’impresa facile, e se ne tenevano lontani tutti tranne i più avventurosi.

Con i piedi che scivolavano lungo una ripida china sabbiosa, udì delle voci che suppose provenire dall’oasi. Da quello che riusciva a distinguere, pareva fosse in corso un’amichevole discussione. Una volta scesa dalla duna, scosse la sabbia dal mantello e percorse la distanza restante verso delle donne straniere e si inchinò salutando. “Scusate, mi spiace interrompere, ma potrei chiedervi dell’acqua?”

Erano un uomo e due donne con la pelle scura, come chi proviene da luoghi dove il sole non è sconosciuto. Suppose che venissero dall’interno del deserto, posti in cui nessuno del suo mondo si avventurava a meno che non fossero degli antropologi. Erano giovani, almeno per lei, forse intorno ai trent’anni. Le era difficile indovinare l’età di una persona che avesse superato gli anni dell’adolescenza.

Una delle donne si fece avanti con una fiasca di pelle di capra, grande come una mano aperta e dalla larghezza di un pugno. La visitatrice prese la fiasca e bevve e, dopo aver soddisfatto rapidamente la sua sete, la restituì.

“Può averne dell’altra, c’è acqua in abbondanza qui. Nessuno si avventura in questi luoghi remoti” e mise nuovamente la borraccia nelle mani della donna che l’accettò. “Deve essere davvero in gran forma…” commentò osservandola attentamente.

“Viene dalla scogliera o dal mare?” chiese l’uomo, entrando subito nella conversazione.

“Vengo dal mare” replicò la visitatrice. Bevve circa la stessa quantità d’acqua di prima e ritornò la borraccia. “Sto bene, grazie. Forse più tardi ne chiederò dell’altra.”

“Se viene dal mare, allora deve essere davvero in gamba. Probabilmente sarebbe in grado di starci dietro” disse sorridendo strizzandole un occhio.

“E voi da dove venite?” chiese la visitatrice.

“Veniamo da qualche parte laggiù…” e indicò la regione dietro di loro in direzione opposta al mare. “Siamo quelli che verrebbero chiamati nomadi o fannulloni che viaggiano nel deserto e non apprezzano la stanzialità e la sicurezza.”

La visitatrice socchiuse leggermente gli occhi. “Dove avete imparato a parlare così bene?”

“Ah…” disse una delle donne, “siamo state istruite dai nostri genitori che avevano una lontana parente che è andata alle vostre università. Questa parente era uno dei nostri logici più capaci. Un antropologo venuto dalla vostra università venne a trovarci e, dopo un po’ di tempo, le offrì un’istruzione. Con l’incoraggiamento del nostro popolo, andò a imparare tutto quello che sentiva fosse importante. Poi ritornò da noi e ce lo insegnò.”

“Avete dei libri?” chiese la visitatrice con una certa meraviglia.

“No, tutto ciò che conosciamo viene per tradizione orale” rispose la donna.

“In altre parole” disse l’uomo, “ci piace parlare molto.”

Il suo commento suscitò uno scoppio di risa. “Venga con noi, abbiamo uva, pane e latte di capra, e se le piace anche del vino rosso.”

La visitatrice si sedette sul morbido suolo sabbioso circondato da palme che offrivano l’ombra necessaria. Una lucertola vagabonda scivolò tra la sabbia a una tale velocità da essere sorprendentemente rumorosa nell’assoluto silenzio del deserto.

“Lei da dove viene e perché è qui?” chiese l’uomo. “Se non sono troppo indiscreto.”

“La schiettezza non mi offende” replicò tranquilla. “Vengo da un luogo di cui non avete mai sentito parlare. È una città così lontana, così piccola, da non essere neppure segnata sulla mappa. E il motivo per cui sono qui… ho dato ascolto al mio desiderio e l’ho seguito.”

“È già stata qui prima?”

“Sì” annuì. “Due volte.”

“Quanto tempo fa?” chiese una donna.

La visitatrice guardò attentamente i suoi ospiti. “Prima che voi nasceste.”

“Uh…” esclamò l’uomo scuotendo un po’ il capo. “Allora la sua memoria è notevole quando la sua forma fisica. Se continuerà così fin quando avremo finito di parlare, la mia considerazione per lei sarà altissima” disse sorridendo e appoggiò la schiena contro il tronco di una palma.

“Se è così tanto tempo che non viene qui, come ha trovato la strada?”

“Io so esattamente quanti gradini ci sono dall’inizio della scala fino alla cima della scogliera. Li ho contati quando ero bambina, e non soltanto ricordo il numero di gradini ma ricordo anche la direzione. Se dovessi sbagliarmi nel contare, tornerei indietro. Oggi non c’è vento, quindi potrei ripercorrere a ritroso il mio cammino fino a un punto sicuro, se ce ne fosse bisogno.”

“Ma senza acqua, è rischioso.”

“Lo so, ma a un certo punto ho sentito le vostre voci e ho smesso di contare perché sapevo di stare andando nella direzione giusta.”

“Beh, siamo contenti che ci abbia raggiunto per parlare un po’.” L’uomo e le due donne sorrisero e lei rispose sorridendo a sua volta.

“Quando è arrivata, stavamo discutendo sul valore dello spaziotempo. Ha qualche opinione in proposito?”

La visitatrice annuì. “Di opinioni ne ho in quantità; di conoscenza, non tanta.”

“Allora, ci dica la sua opinione. Lo spaziotempo esiste realmente?”

“Sembra che siate giunti alla conclusione che lo spaziotempo o esiste oppure no, quando invece io credo sia l’una che l’altra cosa.”

Una delle donne scrollò le spalle. “Come può qualcosa esistere e non esistere allo stesso tempo?”

“Lo può perché noi viviamo e funzioniamo in tutti gli spazitempi. Lo spaziotempo non è un’espressione binaria della Natura. Per sua stessa natura, la Natura è tutte le dimensioni di spaziotempo. Esiste su ogni livello, in ogni particella, in tutto. La Natura è tutto. Noi siamo parte di essa.” Raccolse della sabbia e la lasciò scorrere tra le dita. “E non soltanto questo deserto, o le palme o anche questo pianeta. La Natura è ogni cosa, ogni luogo e ogni tempo” fece una pausa e guardò i tre volti che la stavano fissando. “E chi, questo, includerebbe?”

Una delle donne puntò il dito al petto. “Noi… gli umani…”

“Noi siamo esseri infiniti che intessono la propria via nello spaziotempo in una successione di corpi e identità temporali. Lo spaziotempo è l’unica costante del nostro viaggio e del suo intrinseco apprendimento. Se non esistesse, allora l’illusione della sua esistenza è perfetta, e ogni cosa che è perfetta deve esistere e, pertanto, non è un’illusione.”

“Beh, di certo ha una mente che eleva lo standard della nostra conversazione” fece notare l’uomo.

“Tuttavia, lo spaziotempo non è la base fondamentale” continuò la visitatrice. “Esiste una realtà preternaturale, primordiale, formativa e omnicomprensiva ed è il buco nero che sta dietro a tutti i buchi neri. È la fonte dello spaziotempo, nello stesso modo in cui noi siamo la fonte della dualità. È un mondo in cui gli opposti sono creati dalla separazione.”

“In che modo gli umani sono arrivati ad avere questa prospettiva differente da tutte le altre parti della Natura?” chiese una donna. “Come siamo diventati i creatori della separazione?”

“Soltanto un particolare cervello e sistema nervoso può ospitare questa capacità di separare partendo dall’intero all’interno dello spaziotempo e contemplarla veramente. Lì sta in attesa un’infinita comprensione della complessità di essere separati dall’intero e tuttavia di essere l’intero stesso. Altre parti della Natura sono consapevoli di questa separazione ma mancano degli strumenti biologici per contemplare la totalità di questa separazione.”

“E a qual fine serve questa unicità?” chiese l’uomo.

La donna si voltò verso di lui e poi indicò il cielo. “Su questo pianeta, noi siamo gli unici occhi della Natura che possono esplorare quello e con questa esplorazione uniamo (bridge) i mondi. Noi siamo la parte della Natura che collega se stessa alla sua interezza. Dove c’è vita nello spaziotempo, c’è la probabilità che una parte di quella vita evolverà ad essere un’entità sufficientemente complessa da diventare esploratrice di nuovi mondi e, in questo processo, diventare un ponte verso una più grande parte della Natura.”

“È tutto?” chiese una delle due donne con tono perplesso. “Noi, allora, siamo qui per interconnetterci con altre forme di vita di altri pianeti?”

La visitatrice scosse leggermente il capo. “No, sto semplicemente esprimendovi la mia opinione sullo scopo per tutti noi. Tuttavia per quanto ci riguarda, noi come identità Sovereign abbiamo uno scopo differente completamente unico. E questo scopo è, per esempio, che voi siete degli umani che vivono nel deserto come nomadi vagabondando tra le oasi e le dune. Voi avete uno scopo che immagino non abbia nulla a che fare con un cameratismo intergalattico.”

“Beh, non posso parlare per le mie meravigliose compagne, ma le dirò questo: non penso di aver mai avuto un solo pensiero in tutta la mia vita in cui il mio scopo fosse di essere un ambasciatore di un’altra vita per altri pianeti nello spaziotempo.”

“E perché no?” chiese la visitatrice.

“Suppongo perché non è possibile. Non abbiamo navi spaziali qui nel deserto” commentò con una risatina, “O anche da qualche altra parte, a dire il vero.” Alzò il capo verso la donna. “Sta forse suggerendo che li stiamo aspettando?”

“Sto suggerendo che comprendiamo. Noi siamo una parte di un’interezza che è la Natura. È semplicemente Natura esternata, ma c’è anche una Natura interna, ed è da questa Natura che quella esterna si esprime. Questa relazione è frattale, assolutamente infinita, e si risolve soltanto nell’amore che comprende la coscienza uno, molti e tutto. È questo ciò che sto suggerendo.”

Ci fu una lunga pausa. Il silenzio che riempiva quello spazio era fertile di idee.

Una delle donne si mosse per cambiare posizione. “I nostri scienziati hanno detto che il mondo quantistico è strano. Un’onda è anche una particella. Un gatto è sia vivo che morto. Se solo misuriamo qualcosa, in qualche modo questa si modificherà” sospirò. “Che senso ha tutto questo? Non penso che abbiamo semplicemente inventato la separazione e, di conseguenza, la dualità. Noi abbiamo inventato la confusione” tentò di sorridere, ma fu un tentativo poco convincente.

“La Natura è sempre in espansione” disse la visitatrice. “Anche il nostro universo si sta espandendo, e così velocemente da non riuscire mai a vederlo tutto, non importa quanto potenti siano i nostri telescopi. La Natura è un’intelligenza impossibile da immaginare. Vive nello stato inconoscibile dove tutte le cose giungono e dipartono. Non è semplicemente una foresta, un animale o un pesce: è tutta la vita. Quello è natura. Noi facciamo parte della Natura che innesca l’interconnessione attraverso lo spaziotempo. Noi siamo suoi filamenti per intessere insieme pianeta a pianeta, specie a specie, galassia a galassia, universo a universo.”

“Che piano grandioso” esclamò l’uomo. “Eppure eccoci qui, seduti sulla sabbia del deserto come lucertole. Come andremo ad esplorare qualcosa lassù?”

“Oh, lo faremo”, disse la visitatrice con assoluta convinzione. “Ma prima verremo visitati da chi è più avanti di noi nelle proprie esplorazioni. Verranno per conoscerci, valutarci e determinare quando potremo essere pronti a diventare partner invece che avversari.”

“Tutto quello che sta dicendo ha un certo senso, ma noi stiamo qui così poco tempo per cui… in che modo può essere importante per uno di noi? Quello che sta suggerendo è che qualche nostra futura versione stringerà la mano a dei nostri vicini galattici… è così?”

La visitatrice s’inumidì le labbra e fece un profondo respiro. “Questo è il grande piano della Natura. Lo spaziotempo è l’unica reale variabile. Quale generazione della nostra specie stringerà le mani in un’esplicita e, soprattutto, collettiva partnership è l’unica domanda, e la risposta è sempre contenuta in un spaziotempo molto specifico e non-specifico. Vi è una probabilità dispersa in quella generazione come delle uova di Pasqua ben nascoste.”

“E come fidarsi di una razza così diversa dalla nostra e, secondo logica, più avanzata?”

“È un processo lungo” replicò la visitatrice. “La natura lo permette in panorami temporali che potremmo considerare su scala planetaria. Tuttavia, una volta che un adeguato sistema biologico viene posto, la Natura lo attiverà. La Natura sa come. Il quando è avviluppato nello spaziotempo, e qui sta la magia: è sconosciuto a tutti e, fintanto che non si approssima, nessuno lo saprà.”

“Intende dire che non si può predire?” chiese l’uomo.

La donna annuì e rimase in silenzio con gli occhi chiusi.

Una delle donne si protese un po’ in avanti. “Nella nostra tribù c’è una donna che vede il futuro. Forse lei potrebbe…”

La visitatrice sollevò una mano. “Come ho spiegato, non può essere visto. Quello è un tempo in cui la Natura non si rivela.”

“Huh… “ esclamarono i tre quasi in perfetto unisono.

Si udì uno strano verso in lontananza. “È stato uno dei nostri cammelli” disse l’uomo gesticolando con la mano. “Stanno riposando all’ombra e Amber sta probabilmente sognando. Fa sempre dei versi quando sogna.”

Le due donne ridacchiarono e quella che aveva parlato della loro veggente, divenne improvvisamente seria. “Ma chi è lei?”

“Ve l’ho detto. Vengo da un posto piccolo di nessuna importanza, del tutto privo di credenziali, se è questo che volete sapere.”

“Ora tocca a me chiedere: dove ha imparato a parlare così?”

“Così come?”

“Sembra conoscere le realtà più profonde. Com’è arrivata a questa conoscenza? Dove l’ha imparata?”

La visitatrice rimase in silenzio riflettendo sulla domanda. “Molto tempo fa decisi che sarei stata io stessa la mia propria maestra. Quindi, questo non l’ho imparato da qualche parte, ma qui” disse indicando se stessa. “E per questo motivo, come vi ho detto fin dall’inizio, ho un’infinita quantità di opinioni e queste continuano a mutare modificandosi in nuove forme che trattengo a fatica.”

“Ma ciò che dice… ha senso.”

“Forse, ma si tratta soltanto di principi, e una volta che si sono compresi i principi allora la vita… la Natura… può rivelarsi un po’ di più, e un po’ di più e un po’ di più. È così che funziona, almeno per me.”

“Ma dove ha imparato questi principi?”

“Da tutti.”

“Da chi, per esempio?”

“Da tutti coloro che ho, letteralmente, incontrato sul mio sentiero. Ognuno di loro mi ha insegnato questi principi. Non posso neppure dire chi ha influito più di un altro, perché tutti collettivamente mi hanno insegnato, e non so dove si è fermato uno e un altro ha iniziato.”

“Huh..” esclamò di nuovo il terzetto quasi in perfetto unisono.

“Però, se quello che ha detto prima è vero, allora è stata la Natura stessa ad insegnarle” osservò una donna. “Non è vero?”

“Sì. Grazie per averlo detto.”

La donna rimase perplessa ma sorrise ugualmente.

L’uomo, di colpo irrequieto, si alzò come se non sapesse dove andare. Afferrò una borraccia grande quasi il doppio di quella da cui aveva bevuto la visitatrice. Prese una sorsata e la porse alle altre: “Qualcuna di voi vuole del vino? È molto buono.”

Le tre le donne scossero il capo.

L’uomo prese un altro sorso, più lungo del precedente e tornò a sedersi al suo posto all’ombra di una palma. “Questa idea della Natura che è tutto, dappertutto e in ogni tempo, è… uhm… beh, molto insolita. Non mi hanno mai insegnato che una formica o una balena fossero una parte della natura, per non parlare di noi. La Natura era il palcoscenico. Era l’erba, gli alberi, la sabbia, l’acqua, la terra, tutto quello che fornisce un modo per vivere la vita, ma lei sta suggerendo che la Natura è… è tutto.”

Ondeggiò un po’ il corpo, riflettendo profondamente. Le donne si limitarono a guardarlo. Infine sollevò una mano, e con l’indice indicò il cielo. “Mi sa che quello che dico è che se tutti noi rientriamo nella Natura, allora anche tutti noi rientriamo fuori dalla Natura. La Natura è il substrato di tutto, ed è anche il palcoscenico. È questo che sta dicendo, giusto?”

La visitatrice annuì. “È quello che sto dicendo.”

“E il solo modo in cui lei sa questo è perché ha dei principi appresi da tutti coloro che ha incontrato nella sua vita… quello che la Natura le ha insegnato. Lei ha una natura molto generosa oppure è una persona che non sa discernere gli insegnanti da dei bastardi ignoranti… se vuole la mia opinione…”

La donna sorrise. “So bene che molti che incrociano il mio sentiero sono dei bastardi ignoranti, come li chiami tu, ma questo è semplicemente un nome. Se si dissolve il nome, se si guarda davvero dietro di esso, loro sono insegnanti. A volte gli insegnanti schiacciano il freno, altre volte l’acceleratore. A volte ci fanno arrabbiare, provocano frustrazione e paura. Altre volte ci attraggono con l’amore, la gentilezza e la compassione. Non importa cosa, quelli sono degli insegnanti.”

“Quindi, la Natura non è soltanto palcoscenico e substrato, ma è anche un insegnante?” chiese l’uomo.

La visitatrice annuì nuovamente.

L’uomo scosse il capo non convinto. “Allora, amica, mi dica: che cosa non è la Natura?”

La donna fece per parlare, poi rimase in silenzio. Indicò dell’acqua, che le venne offerta, ne prese una sorsata dalla borraccia. “La Natura è tutte queste cose, e noi siamo una di esse, e la Natura non è questo.”

“E…?” ridacchiò l’uomo.

“Noi siamo Sovereign.”

“E che cosa mai significa?”

“Significa che noi siamo un’identità che è l’amalgama di ogni cosa che abbiamo sperimentato in ogni momento di ogni vita temporale che noi, e soltanto noi come Sovereign, possediamo. E il custode di questa esperienza siamo soltanto noi. Neppure la Natura la possiede. È solamente nostra. E questo aspetto di noi, a livello della nostra vera essenza, il Sovereign, comprende queste esperienze perché noi le osserviamo, le sperimentiamo, impariamo da esse e le esprimiamo.”

“Nessun altro nello spaziotempo lo fa?” chiese una delle donne. “Neppure la Natura?”

“No, neppure la Natura. Se lo facesse noi non avremmo motivo di esistere; semplicemente verremmo inghiottiti nella Natura…” disse e, voltandosi verso l’uomo, aggiunse, “… rientrati in essa, per dirla come te.”

“E noi non siamo uno con questa Natura?” chiese l’uomo.

“Sempre nel tuo modo di pensare c’è una cosa oppure l’altra, quando invece ci sono entrambe. Noi siamo sia Sovereign della Natura che Integral con la Natura. Noi facciamo parte della coscienza uno, molti e tutto che è della Natura in tutte le sue manifestazioni. Nei reami di spaziotempo, ci viene data la nostra Sovranità così che la Natura possa espandersi e, in questa espansione, mantenere l’interconnessione nello spaziotempo.”

“Soltanto nello spaziotempo? E fuori e oltre lo spaziotempo?”

“Il più vicino che potremo arrivare a quella sfera sarà attraverso la lente dell’immaginazione, la logica, la matematica, le sensazioni dell’intuizione, e l’arte. Attraverso queste porte è possibile trovare la porta per l’inconoscibile, ma non si può attraversare quella soglia come Sovereign.”

“Perché?”

“Perché lo spazio dell’inconoscibile è sempre dietro lo sconosciuto. Non importa quanto viaggiamo, se siamo Sovereign noi siamo sempre nello spaziotempo. E la Natura, in quanto substrato più primitivo, è sempre nell’Integral dell’inconoscibile.”

“Allora come si diventa Sovereign Integral se l’Integral è per noi, come Sovereign, sempre inconoscibile?” chiese l’uomo con tono di crescente frustrazione.

A quella domanda la visitatrice sorrise. “Ora lo hai trovato.”

“Trovato cosa?” replicò di riflesso.

“Che deve esserci un modo per muoversi tra questi due stati individuali, per sentirli entrambi, e diventare così capaci di poter imparare a vivere in entrambi simultaneamente.”

“E come si può fare?”

“Io potrei saperlo per me, non lo so per te.”

“Ognuno è differente, quindi?” chiese l’uomo.

“Ognuno è differente” confermò la donna annuendo.

Una delle donne si schiarì la gola. “Ogni Sovereign scopre questo punto… alla fine?”

La visitatrice le offrì la borraccia d’acqua. “Lo spaziotempo è infinito, è il palcoscenico della Natura. Il Sovereign che sperimenta questo palcoscenico è altrettanto infinito. Noi veniamo dall’infinità e torneremo all’infinità. Questo è ciò che siamo; ognuno di noi, non importa che cosa siamo o chi siamo. Noi siamo questo! E questo è al momento sconosciuto. Quindi, possiamo propendere verso quella direzione o possiamo resistere e propendere verso la separazione, la dualità e la confusione.”

“Non ha risposto alla mia domanda…”

“Oh, pensavo di averlo fatto” commentò la visitatrice. “Proverò a dirlo in questo modo: noi non sappiamo quanto poco o quanto molto sappiamo. Siamo ignoranti in merito alla nostra conoscenza. Siete d’accordo su questo?”

“Più parliamo, più ne sono convinta” rispose ridendo una delle donne.

“Se noi siamo ignoranti, qual è per noi la via migliore?” chiese la visitatrice.

La donna scosse il capo e scrollò le spalle.

“Osservare la vita attraverso il miglior quadro” disse la visitatrice. “Se vi perdete nel deserto, che cosa fate?”

La donna scrollò una spalla. “Usiamo la testa, semplicemente sappiamo che cosa fare. Tutto intorno a noi – le dune, il vento, il sole, le stelle, la vegetazione – tutto ci indica la direzione verso cui vogliamo andare. Non possiamo perderci, a meno che una violenta tempesta modifichi il deserto.”

“E se questo dovesse accadere?” continuò la visitatrice. “Ipoteticamente, di che cosa avresti bisogno per trovare la strada?”

La donna rifletté alcuni momenti, mentre tutti l’osservavano in attesa. “Presumo che, ancora ipoteticamente, vorrei sollevarmi in alto nell’aria e guardare il deserto che sta in basso. Da quel punto di vista potrei riconoscere qualche cosa che mi dia l’orientamento.”

“In alto nell’aria…” ripetè la visitatrice con voce assente. “Quella parte di noi è il nostro Sovereign… in alto nell’aria. Invero, il nostro punto più alto è il Sovereign. È così che troviamo il nostro orientamento: ricordando che noi siamo un Sovereign attraverso la nostra immaginazione, la nostra intuizione e la nostra logica; usando queste tre lenti dentro di noi poiché sono i nostri infiniti partner.

“Hai introdotto lo spaziotempo quando hai domandato se il Sovereign alla fine giunge a questa realizzazione. Ebbene, l’uso del termine “alla fine” in uno spaziotempo infinito è inevitabile. E questo è uno dei problemi che abbiamo nel comprendere il Sovereign. Noi pensiamo lo spaziotempo come Terra e una singola vita, dato che ciò è altamente rilevante. E anche se considerassimo l’universo e uno spaziotempo di centomila anni, ancora cattureremmo un’infinitesima parte dell’esperienza del nostro Sovereign, e l’Integral è infinitamente più vasto” e lampeggiò un sorriso, come una particella virtuale.

La visitatrice tacque per osservare i suoi ospiti, valutando il loro interesse a seguire la sua linea di pensiero. “Noi siamo un agente della Natura che possiede una molteplicità di coscienze e vite temporali nello spaziotempo. Il numero di questa molteplicità è inconoscibile, e lo è anche la forma che ciascuna di queste vite temporali assume. Pertanto non abbiamo alcun metodo per comprendere ciò che noi siamo. Eppure, la Natura ci ha fatto in questo modo perché alla fine realizzeremo ciò che siamo. E se non fosse che per lo spaziotempo, noi lo conosceremmo in questo stesso istante.”

Una delle donne fece un cenno con la mano perché l’uomo le passasse la fiasca del vino, che lui con piacere le porse. Prese un lungo sorso ed emise un profondo sospiro. “Quindi, siamo forzati a vivere in un’infinita successione di vite temporali semplicemente per comprendere che siamo sia Sovereign come agenti della Natura che Integral alla Natura stessa? E questo non è simile al mito dell’uomo condannato dagli dèi a risalire una montagna soltanto per poi precipitare sul fondo dopo aver raggiunto la cima? E ancora e ancora…

“Nelle religioni, almeno, se si vive una vita morale, si lascia la sofferenza, l’umiliazione, la paura, la rabbia, il dolore; si lasciano tutti questi terribili sentimenti dietro di sé sulla terra e si va a godere dei frutti del cielo. Si vive perennemente nella bellezza e nella gioia. Se noi siamo Sovereign con un raggio d’azione infinito ma sempre nello spaziotempo vita dopo vita, allora siamo condannati a vivere ripetutamente.”

“Ah” annuì la visitatrice, “ma tu stai supponendo di essere un essere umano sulla Terra che torna e ritorna. E questa è una falsa supposizione.”

“Perché?”

“Dato che sei infinita, incarni un infinito numero di vite temporali. E tutte loro sono in un diverso incorporamento, un diverso spaziotempo, una diversa specie e così via. È tutt’altro che ripetitivo. Per esempio, il nostro corpo fisico in cui viviamo consiste di 1027 atomi, e uno solo di questi atomi è il Sovereign, tutti gli altri atomi rappresentano una vita temporale che stai sperimentando in uno dei tuoi 8,5 miliardi di momenti di tempo che comprendono una singola vita temporale. Alla fine, noi impariamo a lasciare che quell’unico atomo – il Sovereign – risplenda e illumini tutti gli altri atomi.

“Il numero di momenti che un Sovereign sperimenta è inconoscibile a qualsiasi strumento o processo matematico. Questi momenti, collettivamente, permettono l’esperienza Sovereign Integral. Noi viviamo per apprendere il momento in cui l’apprendimento culmina nella nostra realizzazione di essere simultaneamente un agente della Natura e una parte di essa… e così è per tutti gli altri.”

L’uomo si schiarì la gola e fece un cenno per ricevere la fiasca di vino. “Se la scienza, la matematica, la filosofia e la religione non possono sbirciare dietro il velo e vedere la Natura per ciò che è, perché allora abbiamo questi minuscoli istanti in cui vediamo qualcosa, sentiamo qualcosa o immaginiamo qualcosa che è al di là di noi? Che quasi ci chiama? Io ho veramente sentito questa voce quando mi trovo da solo nel deserto.”

“Il termine Sovereign” disse la visitatrice, “non è semplicemente un altro nome per anima o coscienza. Non è affatto un nome, e neppure è un insieme di numeri o un codice. Rimane dietro e al di fuori di questi concetti creati dall’uomo. Tutto ciò che abbiamo creato come esseri umani è diverso dalla coscienza uno, molti e tutto e dall’esperienza Sovereign Integral. La tua vita, così com’è ora, è come un piccolo cerchio che si sovrappone – tramite un unico atomo – a una sfera infinita. Tuttavia, questa sovrapposizione permette dei barlumi nel mondo del Sovereign.

“Ti attira verso di sé attraverso gli scritti, le credenze, l’arte, la scienza e la matematica del nostro spaziotempo. Questi costrutti creati dall’uomo non rivelano il Sovereign. Rivelano l’anima oppure la coscienza oppure la mente oppure il cuore oppure il corpo; sono tutti questi ad essere rivelati. Il Sovereign attende che tu porti un “atomo” nell’area della sovrapposizione. Una volta che anche un singolo atomo è portato laddove il Sovereign attende, esso comincerà a rivelarsi senza i costrutti umani e le benintenzionate descrizioni di chi noi siamo o potremmo essere.”

“Quindi è il Sovereign che noi ascoltiamo, percepiamo, preghiamo e cerchiamo? È questo che sta dicendo, mia buona amica?” chiese l’uomo, strizzando gli occhi come se un raggio di sole lo avesse d’un tratto trovato.

“Sei tu a deciderlo. Non è un assoluto. Non c’è alcun burattinaio che ci sovrasta e lo orchestra. Questo è un viaggio di libero arbitrio per tutta la vita, libero da gabbie e solitario. Per ogni altra vita, il libero arbitrio è un concetto modificato dal Molti. I gruppi modificano il libero arbitrio e si accertano che esso sia la cosa che attira gli umani a socializzare e diffondere conoscenza e comprensione.

“È così che una coscienza planetaria, che è l’espressione locale di una concentrazione della Natura, evolve se stessa ad esplorare l’universo e a riunirsi con altri pianeti e le specie su di essi, aiutandosi a vicenda a risolvere problemi, edificare culture sociali di partnership ed espandere l’esplorazione.

“Comunque, per realizzare questo, noi dobbiamo avere la possibilità… la probabilità che la specie umana possa collettivamente vedere questo stato futuro: sentirlo nelle proprie ossa.” La visitatrice fece un profondo inspiro e lo trattenne alcuni secondi con gli occhi chiusi, poi espirò lentamente, quasi in silenzio. Ma nel profondo silenzio del deserto, a volte si può udire anche il palpito del cuore.

“È il Sovereign che conosce la coscienza uno, molti e tutto, e questa conoscenza viene condivisa fino alle sue più remote vite temporali, ma soltanto dal Sovereign, non tramite carta o schermi più o meno grandi; non dalle mia labbra o dalle vostre. È condivisa dal Sovereign a tutti i suoi incorporamenti e lì è libera da gabbie, una selvaggia cosa vivente nella pura solitudine di un respiro, di un palpito e di un movimento solitario. Diventa una probabilità del nostro futuro ma, per prima cosa, dobbiamo attraversarla noi stessi.

“Non si tratta di qualcosa che appartiene alla volontà, a un piano o uno scopo. È semplicemente qualcosa liberato da un Sovereign ad una forma con la quale quel Sovereign si sovrappone.”

“Ed esistono Sovereign buoni e Sovereign malvagi?” chiese una delle donne.

“I Sovereign non sono della dualità” rispose la visitatrice.

“Allora chi li ha creati? Erano buoni o malvagi?”

La visitatrice scosse il capo, ma un sorriso le si diffuse come l’ombra di un oggetto alto. “Non c’è alcuna dualità, amiche mie, se non quella che abbiamo creato noi. Come può l’inconoscibile, o anche lo sconosciuto, essere misurato in termini di bene e male?” La visitatrice si alzò lentamente. “Andrò a conoscere i vostri cammelli. È molto tempo che non ne vedo uno e ricordo come siano incuriositi dagli estranei.”

“Sono là dietro” indicò l’uomo. “Amber, Dusty e Shadow. Sospetto non che avrà problemi a riconoscerli dal nome.” Sorrise, ma pareva avere la mente su un qualche lontano pianeta.

La visitatrice si fermò un attimo e fece un leggero inchino verso i suoi ospiti. “Grazie per la vostra ospitalità. È stato un onore conoscervi.”

“Dovrebbe venire con noi” disse una delle donne. “Stiamo andando a un’oasi che è famosa tra la nostra gente perché si crede che abbia dei poteri magici.”

“Io non credo nei poteri magici” fu la replica. “È nella Natura che io credo.”

“Durante questo tempo ho creduto che lei avesse una visione panpsichista, ed ora me lo ha confermato.”

“Ebbene, non contarci” rispose la visitatrice. “Io non sono una panpsichista. I panpsichisti credono che la natura sia il corpo di Dio e che Dio sia la mente della Natura. Io credo che la Mente Collettiva non è la Natura, ma soltanto un altro aspetto della Natura. Così come non considero che tu sia il tuo naso, non considero che la mente collettiva sia la Natura. La Natura è la coscienza uno, molti e tutto che incarna lo spaziotempo. Il panpsichismo crede nell’Uno, quasi che la Natura fosse soltanto una mente collettiva.

“È molto più di questo. Tuttavia, non può essere definito.”

“Capisco, ma certamente vi è una correlazione.”

“Gli insegnamenti del mio Sovereign, quando sono sola con esso, sono per me. Sono correlati soltanto a me, e come essi sia correlati ad altre credenze, teoremi, ipotesi o scorribande immaginative dell’arte, anche questo è lasciato a me.”

Le donne si alzarono in piedi. “Ma qualcuno è dell’opinione che tutto è Natura, e anche Dio è contenuto in essa. Lei crede che la Natura è Dio? È semplice semantica?”

“Io credo nell’intelligenza che ha potuto concepire la Natura e, poi, avere la pazienza di permettere alla Natura di dispiegarsi, evolvere, sopravvivere e proiettare la sua intelligenza nello spaziotempo, radunando se stessa come un esplosione a ritroso al rallentatore. È la realtà di tutte le realtà, così vasta… da essere un contenitore della Natura, e io non ho alcun nome per essa. Tuttavia, è questo in cui credo. Non è semantica. Non c’è un nome per questa intelligenza energetica legante… forse il nome più prossimo è “amore”.

“Perché lei crede a una cosa sconosciuta?” chiese una donna. “Una cosa che finora non ho mai neppure una volta contemplato? Intendo dire… è così astratta da essere inaffidabile. Come aspettarsi che io possa credere a questo?”

“E chi si aspetta che tu lo creda?” replicò la visitatrice.

“Dio… quell’intelligenza che sta dietro alla Natura. Si aspetta che io creda in essa quando è invisibile, nascosta dietro la mia realtà in qualche astrazione che la mia mente non riesce a immaginare. Quindi, come aspettarsi che ci creda?”

Il tono della donna era di sconforto e la visitatrice tacque, riconoscendolo, e annuì con empatia.

“Tu presumi che ci sia un’aspettativa. Forse non c’è. Forse vivi meglio la tua vita senza che tu ci creda. C’è chi vuole crederlo ed altri no.”

“Ma che cosa cambia se si crede in questa intelligenza? Cambia la vita?”

“Se credi in questa intelligenza che circonda tutte le espressioni della vita, comprendi che l’Integral è una parte di te e tu di esso. E ciò si applica a tutta la vita. Se già lo credi, allora non ti cambierà la vita. Se non lo credi, allora la cambierà.”

“Ma qualcosa di così… integrale a tutta la vita, che è sempre da noi separato come se vivesse in una realtà parallela, come posso anche solo raggiungerlo, parlargli, imparare da esso? Come?” la donna si avvicinò ulteriormente alla visitatrice, il capo proteso come a enfatizzare il suo interesse in ciò che l’altra doveva dire.

“Per quanto sia astratta come realtà ultima, non significa che noi non si possa sondarla con la nostra immaginazione e la nostra logica. La nostra porzione unica di realtà può sovrapporsi con questa realtà ultima. Noi siamo una parte di essa, anche se è una sovrapposizione di un solo atomo. E anche quando la sovrapposizione è fugace ed estremamente rara, possiamo ancora credere in essa. Anche se continuiamo a negarla al mondo esterno, resta un luogo nel cuore e nella mente dove noi crediamo in essa. Dove crediamo sempre in essa.”

La visitatrice abbassò la voce a un semplice sussurro. “E questo é l’Integral nel nostro mondo… il credere nell’Integral da parte del Sovereign, espresso, nel nostro caso, attraverso la condizione umana.”

“Quindi, lei sta dicendo che l’Integral può soltanto essere creduto, non può essere provato nel nostro mondo. Perché non possiamo avere qualcosa di più che una credenza?”

La visitatrice ridacchiò. “Tutti vogliono togliere i rivestimenti della realtà e rivelarla come fosse una manciata di numeri, una matrice, una simulazione. Un qualcosa di irreale. Una luccicante illusione dietro la quale sta il Grande Mago di processi evolutivi così vasti da essere chiamati con mille nomi.” Fece una pausa e un profondo respiro. “Tuttavia è il mondo dell’Integral che stiamo tentando di svelare: l’intelligenza che ha creato la Natura e l’ha poi lasciata libera all’interno di tutto lo spaziotempo. E noi minuscoli umani vogliamo togliere il velo e vederlo con i nostri sensi umani e conoscerlo con il nostro cervello, e questo perché desideriamo avere qualcosa di più che una credenza.”

“Tutti noi vogliamo una prova… qualcosa di solido su cui poter fare affidamento.”

“Ah, però ti fidi di questa realtà, non è vero?”

“Per lo più…”

“E la sola ragione per cui ti fidi di essa è perché ne hai avuto esperienza da quando sei nata. Ti è familiare. Con il Sovereign e l’Integral non hai familiarità, e di sicuro non con il loro vero ambiente. Là dove essi vivono e hanno il loro essere, non si può andare. Per te, potrebbero essere anche in mezzo al mare. Quindi, pensi che se solo essi venissero qui – in questo mondo – e si mostrassero, allora potresti farci affidamento.”

“Sì, crederei se potessi vederli con i miei stessi occhi.”

“E se gli scienziati ti mostrassero una prova del Sovereign e dell’Integral basata sulla matematica, a loro crederesti?”

La donna scosse il capo. “No, non capisco la matematica a tal punto.”

“E di un libro che spiegasse che cosa siano il Sovereign e l’Integral?”

“Sono soltanto parole. No, non mi fiderei… potrei crederci un poco ma non mi fiderei.”

“E se avessi un sogno in cui incontrassi il Sovereign e sperimentassi l’Integral?”

“No, non mi fiderei di un sogno. I sogni sono fugaci e so di essere io a crearli.”

“E di una visione?”

“No!” la donna scossa con forza il capo. “Devono essere loro! Lei non capisce, dato che ne ha ovviamente avuto esperienza.”

La visitatrice sospirò. “Quindi, l’unica soluzione che lo provi per te è il sistema occhio-cervello. È corretto?”

“Sì.”

“Allora cerca e sii paziente” disse la visitatrice. “Sii molto paziente.”

“Tutto qui?” chiese la donna. “Nessun processo, nessun metodo o tecnica? Nessun codice, rituale o cerimonia? Ognuno ha il suo proprio modo e un modo non funziona per tutti… oppure nessuna molteplicità?”

La visitatrice sollevò due dita. “Anche due” disse con un leggero sorriso. “Quale processo c’è se non il palcoscenico che la Natura crea ed evolve? Noi atterriamo su questo palcoscenico nascendo, e lo percorriamo attraverso lo spaziotempo. Noi decidiamo che cosa credere nel nostro cuore e nella nostra mente. Si tratta di quell’esatto sentiero e processo per ognuno che è incarnato in una specie. Tuttavia, come hai sottolineato, il palcoscenico, lo spaziotempo e una singola vita temporale hanno una più ampia sfumatura quando li si osserva con mente aperta.”

“E se vogliamo comprendere quella sfumatura…?” chiese la donna. “Se non c’è altro vero sentiero che il nostro proprio… come troviamo o… o dove troviamo questa sfumatura di comprensione? Lei l’ha trovata… non può spiegare come posso trovarla anch’io?”

“Ah… capisco il problema che hai.”

“Qual è?”

“Prendi le mie parole come se indicassero che io so cose che tu non sai. Ciò che sto dicendo è che io conosco delle opinioni che tu puoi non conoscere. Nulla di ciò che dico è un fatto, perché io non so che cosa è un fatto, una finzione, un’illusione, una verità o una bugia. E, a parer mio, così è per chiunque. L’Inconoscibile è un nome appropriato. Lo Sconosciuto altrettanto. Comunque, io possiedo logica, immaginazione e sensibilità intuitiva, e posso usare queste per tracciare la mia rotta attraverso il palcoscenico che la Natura ha preparato per me. Così lo puoi tu e chiunque altro.”

Sorrise alla donna e si inchinò nuovamente. “Saluterò i vostri cammelli e riprenderò il mio cammino. Grazie.” Salutò i suoi ospiti posandosi una mano sul cuore ed estendendola poi verso di loro. I tre ricambiarono il gesto ma subito seguirono parole di protesta e di invito ad andare con loro. Avevano cibo e acqua in abbondanza e altre persone della loro tribù avrebbero desiderato conversare con lei; e loro, poi, avrebbero personalmente provveduto affinché tornasse a casa sana e salva.

“Chiederò ai cammelli” fu tutto quello che disse la visitatrice allontanandosi.

Le due donne si sedettero accanto all’uomo. Una di loro osservò la visitatrice dirigersi verso i cammelli. “È quasi arrivata” mormorò. “Dobbiamo convincerla. Deve incontrare Sitara.”

L’uomo si voltò appena in tempo per vedere la visitatrice sparire oltre una piccola duna verso i cammelli. “Chiedere ai cammelli?” disse con un sorriso. “Lei è una di noi, ma ovviamente non la porteremo via a forza, quindi… come proponi di convincerla?”

“Andrò subito da lei e le spiegherò che Sitara è la nostra maestra e noi vogliamo che loro due si conoscano. Che crediamo troverà la conversazione con lei molto interessante…”

“E…?” aggiunse l’uomo.

“Beh, intendo anche poterle offrire dell’oro.”

“Tienilo in tasca e non eccedere oltre una somma ragionevole” disse l’altra donna. “Vai ora o potrebbe non tornare indietro. È chiaro che hai una connessione con lei.”

Mentre l’altra si alzava per andare, la donna le afferrò il braccio. “Dille che anche noi ci teniamo, non soltanto tu. D’accordo?”

“Lo farò.” E con questo la donna si affrettò quasi correndo verso i cammelli. Quando giunse sulla cresta della duna vide la visitatrice parlare con i cammelli come fossero vecchi amici. La visitatrice la vide e batté la mano sulla sabbia vicino a sé.

La donna rallentò e le si sedette comodamente accanto. Entrambe fissarono i tre paia di grandi occhi neri in cima a teste marrone chiaro. I cammelli mossero il collo come fanno i gatti con la coda, mantenendo sempre lo sguardo fisso su un oggetto.

La donna lanciò una rapida occhiata alla visitatrice cercando di leggere il suo stato d’animo.

“Vuole venire con noi? Abbiamo delle menti affini e vorremmo che lei ci accompagnasse.”

“Dove?”

“Ci piacerebbe farle conoscere la nostra maestra. Lei è la donna che si allontanò dalla nostra tribù per andare nel vostro mondo a conoscere ciò che a noi mancava, per poi ritornare alla nostra tribù con quelle informazioni.”

“E qual è il suo nome?”

“Sitara.”

“Ah, delle stelle…

“Che cosa?”

“Il suo nome significa “delle stelle”. Non è di questa zona.” La visitatrice sorrise e sembrò vibrare nella luminosità del giorno.

La donna si rivolse alla visitatrice. “La sua unica richiesta è che, quando andiamo in giro, se incontriamo una persona con più saggezza di lei, dobbiamo fare tutto il possibile per persuaderla a recarsi da lei. È il nostro solo accordo. Sitara è una persona diversa nella nostra tribù, non in senso fisico, ma perché comprende cose che nessuno di noi sa. Quindi non ha nessuno con cui parlare, da cui imparare.”

“Lei può imparare. Questo non è apprendimento. Si tratta di presenza. Sente le cose in questi termini e quando vi è la presenza della coscienza uno, molti e tutto, questa viene con parole, immagini, sentimenti, timbro, comportamento e così via. Vuole sapere che non è sola, che la sua presenza è in altri, altrettanto sviluppata, altrettanto forte, altrettanto dedicata. È questo che lei vuole”.

La visitatrice sospirò e si voltò lentamente verso la donna. “Così è per tutti noi. Verrò con voi.”

Si voltò verso i cammelli e indicò Shadow. “Si è offerto di portarci entrambe.”

La donna ridacchiò. “Beh, è il cammello più forte e vuole dimostrarlo alle sue due amiche.”

La visitatrice si alzò con energia e tese una mano alla donna. Si misero in marcia verso l’accampamento per definire quando partire per andare da Sitara.––