Sotto l’albero

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Sotto l’albero
E3 : S1

La donna si diresse verso un grande albero a poca distanza.

“Andiamo là. Mi sono già seduta sotto quell’albero. Praticamente mi conosce.” A dispetto della mancanza di luce, il giovanotto potè udire il suo sorriso.

Lui annuì e i due percorsero insieme la breve distanza in silenzio.

Una volta arrivati, la donna si sedette e si appoggiò al tronco dell’albero e il giovanotto le si sedette di fronte. Tra loro stava la tanica d’acqua.

“Il nucleo scende sempre più in profondità” la donna iniziò. “Si muove sempre in direzione dello sconosciuto. Questo è vero sia per il sovereign che per il campo di unità da cui il sovereign dipende. La coscienza uno, molti e tutto non è una cosa statica. Evolve nello spaziotempo, e noi siamo parte di questa evoluzione. Anche noi stiamo evolvendo, e anche quelli che sono catturati nella più potente e mortalmente pericolosa dualità stanno evolvendo e dando al campo di unità una visione evolutiva per un qualche tempo futuro.”

Il giovane sospirò con malcelato senso di frustrazione. “Ma la storia ripete se stessa continuamente, Basta guardare le guerre, se occorre una prova. Dobbiamo, quindi, semplicemente accettare la stupidità umana?”

“Noi dobbiamo portare la nostra saggezza personale alla superficie, e attraverso i nostri incorporamenti – le nostre creazioni – dimostrare l’interconnessione. Noi non facciamo eccezioni: siamo impeccabili nel nostro impegno ad allinearci come una particella della coscienza uno, molti e tutto. Il cambiamento del mondo, che è il Tutto, in una sola vita sembrerebbe un cambiamento così graduale da essere inesistente. Se noi siamo allineati con la nostra condizione umana (humanness), la nostra superficie, e al nostro nucleo, il nostro cuore e la nostra mente, allora dobbiamo soltanto vivere come la creatura selvaggia che siamo.”

“Suona egoistico…” commentò il giovane.

La donna scosse il capo. “Quando si vive interconnessi, non c’è egoismo. Viviamo semplicemente come un’espressione dell’interconnessione. Come questa si esprime, beh, è un atto infinito slegato da parole o numeri o da qualsiasi definizione. Io non invento le parole che utilizzo. Non le organizzo in un certo modo senza conoscere le parole di milioni di altri cuori e menti. Ogni parola che uso emana da ciascuno di noi. Sono tutti a parlare. È il Tutto (Allness). Non sono io.”

“Lei sta dunque dicendo che ha perso la proprietà delle sue parole e azioni e, forse, anche dei pensieri?” osservò l’altro. “Se ne ha perso la proprietà, allora come vive la vita?”

“Ecco di nuovo l’istinto a polarizzare e scegliere un lato della dualità. Noi possiamo assaporarli entrambi. Possiamo sentire il lato sovereign nella nostra vita ed espressione, e possiamo simultaneamente comprendere – e intendo comprendere veramente – che noi siamo tutti interconnessi per via della nostra origine e per via del destino che abbiamo davanti a noi. Possiamo comprendere che entrambi questi punti di vista possono coabitare come partner.”

“E far questo ci rende una persona migliore?”

“Anche la parola migliore implica separazione.”

“Allora sta dicendo “no”, oppure… che non è importante? Sono confuso.”

“Noi siamo dei sovereign, non per una sola vita ma sempre. Noi siamo l’amalgama delle vite. Così come l’Integral è l’amalgama dei sovereign. Una sfaccettatura di un bellissimo diamante non è il diamante, eppure è una finestra per il nucleo del diamante. Dobbiamo iniziare lì. Quando orienti te stesso in questo modo, puoi vedere che è impossibile fissare una proprietà. Sarebbe come tentare di fissare il vento che sempre soffia. Da dove è scaturita inizialmente questa idea, creazione o espressione? Come si spiegava in quello spaziotempo? Quello spaziotempo sta accadendo prima o dopo, o forse simultaneamente, il nostro spaziotempo?

“Con questo fondamento, noi possiamo orientarci a una vita individuale e alla sua realtà. In questa realtà noi siamo un umano con un corpo, una mente, un cuore, un ego e un subconscio. In questa realtà noi possiamo sperimentare ed esprimere la nostra interconnessione: la sensazione di essere unificati, che ogni vita è preziosa per il tutto e per l’individuo, completamente indipendente dal giudizio umano. In altre parole, noi possiamo avere entrambi, e questo è il punto.”

Il giovanotto si appoggiò all’indietro sorreggendosi con le braccia. “Quando prima ha detto sovereign ho pensato che intendesse… me. Io sono il sovereign ma, ecco, vedo che si presenta una nuova definizione. Il sovereign che è me, è l’amalgama di tutti i miei “me” nella dualità di spaziotempo. E per certi versi, io vivo dal primo nanosecondo dello spaziotempo ad adesso, e quando lo spazio tempo si ripiega nello non-spaziotempo – e il nostro destino come coscienza uno, molti e tutto vive in tutto – anch’io sono lì. L’ho compreso correttamente?”

“Sì, e aggiungerei che il Destino del Tutto è il Destino dell’Uno, nello stesso modo in cui la creazione dell’Uno è la creazione del Tutto. E questo flusso e movimento è frattale. Opera a tutti i livelli della dualità di spaziotempo. La sua estensione non può essere immaginata se non da una mente e da un cuore che collaborano per l’interconnessione. Tuttavia, quando questa estensione viene chiaramente immaginata, è come un sistema di guida che gradualmente fluisce nella tua vita. Inizi a vedere la sua cura e il suo intervento in tutte le cose nella tua realtà.”

Il giovane si guardò le mani mormorando qualcosa. “Ecco di nuovo la partnership tra il cuore e la mente. Perché? Perché continua a saltar fuori?”

“I nostri scienziati ci hanno detto che il cervello” e la donna indicò la sua tempia con un dito,”ha circa 85 miliardi di neuroni, l’intestino ne ha circa 500 milioni, lo stomaco circa 100 milioni e il cuore 40 mila. Il cervello ha 2,1 milioni di volte il numero di neuroni rispetto al cuore. Il cervello domina la nostra condizione umana. Eppure il nostro centro sensitivo che consiste del cuore, dell’intestino e dell’area dello stomaco, questo centro sensitivo comunica con il cervello neurologicamente ed energeticamente.

“La comunicazione tra la nostra coscienza e la mente, la mente e il cervello, il cervello e il cuore, e il cuore e la coscienza… queste comunicazioni sono come movimenti sinfonici che fluiscono in armonia, disarmonia o entrambe, e in tutte le direzioni. Quando siamo in armonia con questi movimenti noi trasmettiamo interconnessione. Tutto qui.”

“E se lo comprendiamo” commentò l’altro, “perché dovremmo voler tornare a trasmettere separazione e disarmonia?”

“Perché il Tutto, l’integral che noi siamo, nella dualità di spaziotempo si muove al passo dell’equilibrio. Si estende come il mantice di una fisarmonica, e lì noi abbiamo il libero arbitrio. Noi decidiamo. Forse la nostra connessione con il Tutto ci spinge a interpretare un ruolo di separazione per evitare di muoverci troppo in fretta verso il nostro destino. Desideriamo evitare una caduta. Percepiamo queste cose in modo subconscio con la nostra mente e cuore più elevati. E le ascoltiamo.

“Questo rientra nella comprensione dell’interconnessione. Non è un semplice costrutto sociale o un concetto new age messo lì per il suo fascino superficiale. È un concetto fondamentale, e pertanto la sua profondità ed estensione sono grandi. Si può passare una vita intera a sondare le sue profondità e mai trovarne il fondo… o il soffitto o anche un muro.”

“Ma per questo ci vuole tempo” commentò il giovane. “Nessuno ha tempo sufficiente, e probabilmente inclinazione, per rifletterci sopra.”

“Ed è proprio per questo che alcuni si incarnano per codificare queste idee in parole o immagini o suoni. Perché sia possibile per ognuno di noi in un breve periodo di tempo, sperimentare l’interconnessione nella separazione. Non cercare di lasciare la separazione a favore dell’interconnessione, ma integrala. Vedila come parte del nostro Tutto nella coscienza uno, molti e tutto.”

L’uomo le offrì nuovamente dell’acqua, perché aveva sentito la sua voce affaticata.

Finito di bere, la donna alzò il capo a fissare il cielo pieno di stelle e la luna crescente. “Siamo passati dal guardare il cielo notturno per ricordare a noi stessi la nostra vastità e la vastità in cui viviamo, allo schermo della tecnologia per ricordare a noi stessi come è piccolo il nostro mondo. La differenza è notevole. E la tecnologia diverrà soltanto più pervasiva e invasiva.

“Per poter vivere con la tecnologia, noi dovremo rispettarla. La tecnologia può guidarci all’interconnessione, e altrettanto facilmente può creare mondi di separazione, radunandoci in coorti di dati e coltivando i nostri interessi per alimentare le economie. Nella dualità di spaziotempo, la tecnologia è tutte e due le cose, ed è tutte e due le cose perché noi collettivamente lo decretiamo.”

L’uomo prese un altro sorso d’acqua e si guardò intorno.

“Dov’è il suo recipiente?” chiese d’un tratto.

“Non l’ho portato.”

“Come porterà via l’acqua?”

“La porterò dentro di me” rispose sorridendo.

Lui le porse il proprio. “Prenda la mia tanica. Me ne procurerò un’altra al villaggio.”

“No, grazie. Sto bene.”

L’uomo posò la tanica e la fissò negli occhi. “Se io sono un sovereign, il nucleo, la creatura che vive attraverso tutta l’esperienza e l’espressione, se io sono questo e un umano individuale di una sola vita, come posso… come posso capirlo?”

La donna spalancò le braccia come se distendesse un pezzo di corda. Questo è il sovereign” disse, e poi iniziò a tagliare quella linea immaginaria con la mano. “E ciascuna di queste è una vita.”

Poi toccò su quella linea immaginaria traendo una persona immaginaria che tenne sospesa tra l’indice e il pollice sopra la linea. “Tu sei una sola vita. Il sovereign non è una sola vita, è l’amalgama di tutte le vite. È il filo di unità tra le vite. Questo è il Tutto (Allness) del sovereign; e dato che ogni cosa è questo, vi è un Tutto che ci permette di vivere in modo interconnesso, che lo sappiamo oppure no.”

Si chinò un po’ verso di lui e mormorò: “Ma se noi lo sappiamo, vediamo l’interconnessione nella nostra vita fin nei dettagli di ogni singolo momento. La vediamo. Ce ne meravigliamo e ridiamo. L’amiamo con tutto il nostro cuore. È quel singolare riconoscimento che il Tutto esiste. Alcuni la chiamano coincidenza o sincronicità, magia o cosmico, o anche l’universo che ci sorride oppure una stringa d’evento o destino. In qualunque modo la pensi, ti sei imbattuto in queste parole e ne stai considerando il valore per una tua sola vita.

“Ciò che sto dicendo è che non sono per una sola vita, sono per il sovereign. Tutto ciò che facciamo, ogni incorporamento che viene tramite noi, è per il sovereign che scorre attraverso di noi, onorando quella totalità di noi. Noi incarniamo una vita, ma incarniamo anche l’infinito, ed è precisamente questo ciò che la maggior parte delle persone ha dimenticato. L’infinito ha una partnership con il finito come se fosse un corpo, una mente, un cuore, un ego e un subconscio prestati per vivere in questo spaziotempo e sperimentare ed esprimere l’interconnessione o la separazione, oppure – e questo è importante – entrambi in partnership.”

“Partnership?” domandò l’uomo. “Come si portano questi due elementi opposti, così tanto fondamentali, in collaborazione?”

La donna poteva sentire una nota di scetticismo, e le venne in mente che un tempo quello stesso tono era nella sua stessa voce, e scelse di sorridere al ricordo. “Nello stesso modo che si fa con tutte le dualità: noi non giudichiamo. Se non giudichiamo, noi formiamo una partnership e se formiamo una partnership, non giudichiamo. Invece di giudicare, cerchiamo i segnali dell’interconnessione. Cerchiamo come il nostro sovereign sta cercando di comunicare con noi… il sé umano.”

“Sta quindi dicendo” disse il giovane, “che c’è questa coscienza invisibile che vive in molte, moltissime vite ed è chi noi realmente siamo, che ogni altro ha questa stessa coscienza invisibile, e che, quindi, è a questo punto che tutti siamo interconnessi. E che questa è la coscienza che lei chiama la coscienza uno, molti e tutto. È corretto?”

“Sì, è quello che dico. Ci viene data la scelta di sperimentare come portare la comprensione dell’interconnessione in questo mondo, o come vivere da una prospettiva di separazione: o siamo la coscienza di una singola vita finita con un corpo, una mente, un cuore, un ego e un subconscio, o incarniamo una particella del nostro infinito. Una parte della totalità che abbiamo creato.

“Comunque, se noi ci vediamo come un sovereign – il filamento di unità che s’intesse in tutte le vite e tuttavia mantiene la sensazione dell’unione (oneness) – possiamo vivere come un Sovereign Integral che incarna la coscienza uno, molti e tutto nella dualità di spaziotempo. In modo imperfetto, ma allineata e consapevole della nostra unità fondamentale.”

“Perché imperfetto?”

“Perché la dualità crea il giudizio, e il giudizio crea la dualità. Questi si auto-rinforzano evolvendo rapidamente. Sulla Terra, noi siamo in un brodo di dualità di spaziotempo, e in tal modo giudichiamo noi stessi e i nostri incorporamenti, le cose che creiamo. Siamo imperfetti nelle nostre espressioni. Non c’è giudizio all’interno dell’interconnessione. Questo è l’unico modo per formare una partnership tra il nostro nucleo e la superficie: il nostro sovereign e il nostro sé umano. Dobbiamo lasciar cadere il giudizio e mantenere la capacità di leggere la nostra realtà attraverso la lente di questa partnership senza giudizio.”

“Allora, che cosa occorre per questa partnership?”

“La disponibilità… no, piuttosto… il coraggio di vivere come un essere umano separato di una vita e sperimentare questa partnership. Sentirsi a proprio agio comprendendo che si è entrambi. Che non si è confinati dalle parole di un’altra persona o di un altro spaziotempo. Anche questa comprensione e i suoi incorporamenti possono essere visti come valori polarizzanti, e da alcuni anche come una rinuncia di ciò che loro ritengono vitale. Come un soldato che gettasse via il suo scudo.

“Questo è il ruolo che hanno accettato. Un ruolo non è né migliore né peggiore: è essenziale o non esisterebbe. Fa parte del bilanciamento che muove la nostra specie nella direzione dell’interconnessione, anche quando sembra che stia scivolando in una maggiore separazione.

“Il fatto che queste parole si trovano nella nostra mente e nel nostro cuore è la dimostrazione che ci stiamo muovendo in questa direzione. È semplicemente l’incorporamento di chi comprende che siamo interconnessi dentro di noi e con tutti gli altri. E, prima che tu me lo chieda, sì… questo si traduce in azione, in comportamento. Il comportamento è soltanto il riflesso di una percezione. Come noi percepiamo la nostra realtà influenza il nostro comportamento, e questo influenza direttamente la nostra realtà.

“Pertanto, se percepiamo l’interconnessione nella nostra realtà, il nostro comportamento e i nostri incorporamenti la rifletteranno. La coscienza uno, molti e tutto emana, ma non per cambiare qualcosa, non per convertire qualcuno, non per distogliere qualcuno. Semplicemente mostra il Tutto, l’integral, e l’interconnessione che tutti noi condividiamo. Facendo così, comprende che la separazione si amplierà così da fornire equilibrio, e questo è tutto parte dell’unità e del Tutto.”

L’uomo iniziò a tamburellare con le dita sulla tanica che teneva in mano e quell’irrequietezza parlava per lui: qualcosa lo disturbava. “Allora devo vivere una doppia vita. Devo essere interconnesso e separato allo stesso tempo e, in qualche modo, devo mantenermi equilibrato in tutto questo. Come? Capisco il perché, e la cosa ha senso, ma come lo faccio? Per quanto cerchi, non riesco proprio a vedere come…”

Smise di tambureggiare e il silenzio tornò a regnare in quello spazio sotto l’albero. In lontananza di sentivano gli altri viaggiatori vicino al pozzo che attingevano la loro acqua. C’era sollievo nelle loro voci.

“Per imparare qualcosa, qual è la premessa fondamentale?” domandò la donna.

“Che ci vuole tempo e pratica.”

“E se concedi a una cosa nuova tempo e pratica, impari come farla?”

“Sì… di solito.”

“Quanto sei in grado di imparare dipende dai tuoi talenti… E che cos’è un talento?” chiese.

“È un dono… uhm, non so. Mi è sempre stato detto che è un dono di Dio il talento che una persona ha per questa o quella cosa.”

“Il talento, come ci hanno insegnato, è una percezione che si fonde con la fede e poi, sotto la lente del tempo e con la pratica, i suoi risultati iniziano a dispiegarsi. Questi richiamano altro tempo e altra pratica, Possono anche spingerti nello sconosciuto, dove nessun altro si è avventurato. Un luogo dove soltanto tu puoi andare. Questo è il talento! Avventurarti nello sconosciuto ed espandere la realtà di una data disciplina come suonare o dipingere, recitare, scrivere, amare, cantare o semplicemente vivere. Tu espandi queste cose con il talento. Nessuno in tutto questo universo comprende esattamente dove il tuo talento ti porterà o come emergerà. Sta a te capirlo ed espandere la disciplina dell’interconnessione nella tua realtà e spaziotempo.”

La donna tacque per un momento, studiandosi le mani che erano quasi scomparse nella crescente oscurità. “Come lo fai… come mantieni il tuo equilibrio mentre ti muovi tra l’esperienza e l’espressione dell’interconnessione e della separazione, è il tuo particolare talento. Il tuo talento è l’arte di fare questo: questa unica cosa che noi tutti stiamo facendo, ogni insetto, ogni pianta, ogni animale, ogni umano, ogni vita ovunque nella dualità di spaziotempo.

“Ogni altra cosa, abilità, conquista, realizzazione, superamento, che esprimi in questo mondo sono risonanze che tu hai con una disciplina che potrebbe venire dalla tua capacità fisica, dalla mente, dal cuore, da una vita parallela. Chi lo sa? E queste sviluppano la tua passione. Laddove hai passione dedicherai tempo e pratica.

“Tuttavia, non confondere la risonanza con il talento. Sono due cose differenti. Il nostro talento è come bilanciare questa dualità fondamentale – interconnessione e separazione – nella nostra realtà. Non quella di qualcun altro. La nostra realtà.

Il giovane riprese a tambureggiare con le dita. “Da dove viene questo talento?”

“Tu già ce l’hai. Tu già lo stai facendo. Un talento è personale, non può essere giudicato. Tutti e tutto hanno un talento che permette loro di trovare un bilanciamento tra la separazione e l’interconnessione. Dove si trova questo bilanciamento e come si esprime è ciò che ci rende unici ed è il nostro prezioso contributo all’intero.”

“Quindi… sta dicendo che tutti noi abbiamo un talento, e questo talento è come fluire tra questi due stati d’essere – separazione e interconnessione – quando operiamo una scelta nello spaziotempo della nostra realtà. Ciascuno di noi può trovare un equilibrio, e che questo è il nostro talento. Ho capito bene?”

“A un livello, sì.”

“Lei poi dice che il nostro talento è come viviamo. Tutto qui… È questo il nostro talento? Un reduce di guerra senza dimora, che mendica per le strade, ha un talento per vivere?”

“Di nuovo stai parlando del vincere–perdere della sopravvivenza del gioco della separazione” continuò la donna, “non del talento. Tutti gli incorporamenti, che siano senzienti o meno, hanno una cosa in comune: hanno il talento di trovare il bilanciamento tra la dualità fondamentale della separazione e dell’interconnessione per la propria specie; e una volta che si ha questo, sarà allora più facile che venga mantenuto ovunque in tutta la specie. Questo bilanciamento è infinitamente unico. Non è mai stato scoperto nello stesso modo prima.

“In ogni momento questo equilibrio è, letteralmente, in cambiamento. È eternamente unico per uno, molti e tutto. Questo è in parte il significato di coscienza uno, molti e tutto. In questo noi siamo insieme a tutti i livelli in tutti i luoghi e tutti i tempi. Se riesci a immaginarlo, puoi comprenderne una parte e, pertanto, puoi trovare il tuo bilanciamento con maggiore facilità.

“Vedi” continuò, “questo è il talento che noi possiamo riconoscere in ciascuno di noi. Riconoscendolo, possiamo creare gratitudine, compassione e comprensione per tutti semplicemente osservando come loro interpretano un ruolo nel mantenere il nostro bilanciamento individuale e collettivo. Non è che quelli che hanno indici alti di separazione e bassi di interconnessione bloccano il nostro progresso verso un mondo di pace e armonia, offrono il talento di equilibrare l’avanzamento del nostro progresso.

“Naturalmente, questa prospettiva è accessibile soltanto quando siamo coscienti di come tutti noi facciamo parte del Tutto. Quando ricordiamo che ciascuno di noi è un filo di unità, non semplicemente carne e ossa che competono in una gara singolare per la sopravvivenza.”

La donna chiuse gli occhi rimanendo completamente immobile. Sembrava che fosse entrata nel profondo abbraccio del silenzio, della quiete e della profonda oscurità che li circondava, Soltanto la luce fioca di miliardi di stelle e della mezzaluna illuminava il suo volto.

L’uomo chiuse anche lui gli occhi e fece un profondo respiro.

“C’è soltanto un talento, ed è il talento dell’uno che diventa il tutto nel suo modo unico in un infinito spaziotempo mentre mantiene il suo equilibrio. Un funambolo può diventare così bravo nella sua abilità da quasi correre sulla corda. Tuttavia, per quanto abile sia, se andrà troppo veloce cadrà. Così è per noi. Tutte le altre dualità, come felicità e tristezza, o successo e fallimento, servono soltanto a sincronizzarci e informarci mentre facciamo il nostro viaggio attraverso la dualità di spaziotempo.”

Il giovane disse con tono un pò sarcastico: “Potrebbe sembrare che accettando questa idea la si possa usare per giustificare degli atti terribili. Uno potrebbe dire: “È stato fatto tutto per dare equilibrio alla nostra amata specie.”

La donna annuì comprensiva. “Ci sono momenti in cui l’indice di separazione in un gruppo o in un individuo diventa così forte da squilibrarli, e possono allora fare delle cose impensabili, Questi non sono talenti, questi sono squilibri, l’opposto del talento. E questi richiedono comprensione e compassione. Richiedono una cultura sociale che davvero comprenda come un indice estremo di separazione può indurre un comportamento che è inutilmente distruttivo.

“Ciò nonostante, nel più ampio arco dell’unità (oneness), ciò rimane parte di un intero. L’equilibrio dell’intero non è mai in discussione. Soltanto l’equilibrio di una persona o di un gruppo può essere contestabile, e questo equilibrio diventa sempre più precario più uno si separa dalle altre espressioni di vita.

“L’agio si trova nella sensazione e nella piena coscienza dell’interconnessione. L’agio è la percezione di fluire, una sensazione di connessione a una più ampia intelligenza e una comprensione sempre più espansa. L’agio di cui parlo, è correlato alla coscienza. Non è un agio biologico. Si tratta di due cose diverse. Per esempio, io sono vecchia. Il mio corpo soffre quasi ogni secondo della sua esistenza cosciente. È semplicemente una questione di grado, di momento in momento. Tuttavia, la mia coscienza può fluire come una brezza su un prato vibrante di flora e di fauna. Posso essere così per tutta la mia vita. Tutto quello che devo fare è comprenderlo, e questa comprensione troverà fedelmente le sue vie nei nostri pensieri, sentimenti e, infine, nei nostri comportamenti… nella nostra realtà.”

“Ah, così è l’azione che conta, vero?” osservò il giovane con tono distante, come fosse immerso in un profondo pensiero. “Eppure, lottiamo con questo più che con ogni altra cosa. Perché?”

“Perché non capiamo e, spesso, perché non vogliamo capire.”

“E perché è così?” chiese l’uomo. “Non mi pare logico.”

“Ciascuno di noi ha il suo equilibrio da mantenere. Il nostro talento, ricordi?”

“Sì…”

“Se tutti, ogni singolo essere umano, improvvisamente passassero a un indice di 99% di interconnessione e 1% di separazione, che cosa pensi succederebbe?”

“Il nostro mondo cambierebbe…”

“Il nostro mondo cadrebbe nel caos” lo corresse prontamente.

Ridacchiò tra sé. “Ti racconterò una storia. Conoscevo un uomo, e in un certo modo ti somigliava, che una volta chiese di provare che l’azione è più forte del pensiero. Pensai che stesse scherzando. Come fa a non essere ovvio? Così gli dissi di pensare di darmi un pugno e io avrei fatto lo stesso con lui, però come azione, così da decidere quale fosse più potente.” La donna sorrise tra sé al ricordo.

“Con mia grande sorpresa, accettò la proposta. Quindi, mentre stava iniziando la sfida, l’uomo chiuse gli occhi e mi chiese dieci secondi prima di essere colpito. Pensai che fosse una richiesta ragionevole, così attesi. Dopo circa dieci secondi sollevò la mano come per dire… dài, colpiscimi. Ma io non avevo alcun interesse a colpirlo. Non potevo colpirlo. Non lo avrei colpito. Fu per me impossibile colpirlo.

“Dopo di che, gli chiesi che cosa aveva pensato in quei dieci secondi. L’uomo mi sorrise e mi fece la stessa domanda. Allora compresi. La sua sfera mentale di pensiero e sentimento mi aveva avviluppato e io lo avevo ascoltato, perché lui era il mio riverito maestro in quel momento. Non avevo avuto scelta, ed egli sapeva che io vedevo la vita in quel modo e che avrei ascoltato i suoi pensieri e sentimenti, anche se erano silenziosi e invisibili.”

Tacque alcuni istanti e guardò il giovane davanti a lei puntandogli l’indice. “Non credere mai che i nostri pensieri e sentimenti siano meno potenti dell’azione o che si possa pensare e sentire una cosa e agirne un’altra. Sono due gambe della stessa creatura e camminano sempre insieme. Sono una sola cosa, anche quando sembra che non lo siano. Per il sovereign sono una cosa sola. E dato che pensiero e sentimento solitamente si presentano prima e l’azione segue, pensieri e sentimenti sono i catalizzatori. Sono partner potenti. Se loro si focalizzano sull’interconnessione, allora le azioni che catalizzano sono di interconnessione.”

La donna si alzò con fatica, aiutandosi un po’ con il tronco dell’albero. Il giovanotto si alzò con lei. Il primo ramo del pino era a circa due metri da terra e stava sopra di loro come una grande mano protesa dal cielo. “Non posso più stare seduta a lungo, ed è tardi, amico mio. Spero che i nostri sentieri s’incrocino ancora, ma in circostanze dove non sia per l’acqua.” Sorrise e voltandosi se ne andò.

“Aspetti!” quasi gridò l’altro. “Non vuole dell’acqua? Può prendere la mia. Andrò in città a prendere un’altra tanica.”

La donna si voltò e scosse il capo. “Sto bene. L’acqua mi troverà.”

L’uomo le corse dietro. “La prego, insisto, la prenda. È più facile per me che per lei procurarmene dell’altra.”

“Questo può essere vero, ma io so dove trovare più acqua quando ne ho bisogno” rispose. Gli accarezzò teneramente la guancia. “Ma ti ringrazio per la tua gentilezza.”

Ancora una volta si allontanò. L’uomo la vide scomparire nell’aria notturna come chi indossa un manto nero scivola tra i mondi dell’oscurità.

Dopo che la donna fu svanita nella notte, il giovane riprese a camminare. Nelle sue mani, la tanica stava già facendosi pesante.

Uno straniero avanzò verso di lui con le braccia tese. “Se è troppo pesante, posso alleggerire il tuo carico.” E sorrise in modo amichevole.

Il giovane gli offrì dell’acqua che l’uomo bevve per parecchi secondi poi, rispettosamente, gliela rese.

“Grazie” disse, asciugandosi la bocca con la manica. “Chi era la donna con cui stavi parlando?”
Il giovane non si era accorro che fossero osservati e fu sorpreso dalla domanda. “Tu chi sei?”

“Sono uno straniero.”

“Qual è il tuo nome, straniero?”

“Quello andrà bene.”

“Vuoi che ti chiami Straniero? … Uhm… Da quanto tempo ci osservavi ascoltando la nostra conversazione?”

“Ero proprio dietro l’altra parte del tronco di quell’albero” e indicò lo stesso pino dove prima lui e la donna stavano parlando. “Ho potuto sentire tutto. Non vedevo niente, ma ogni volta che prendevate da bere posso dirti che mi veniva più sete!” commentò enfatizzando con un cenno del capo.

“Era una conversazione privata, avresti dovuto dire qualcosa.”

“Per esempio?”

“Beh… dire che eri lì. Farti notare.”

“L’ho appena fatto. E non volevo interrompervi. L’ho trovata una conversazione particolarmente insolita. Chi era la donna?”

“L’ho incontrata solo una volta e non le ho mai chiesto il nome.”

“Però a me lo hai chiesto subito. Perché?” gli chiese lo straniero.

“Non saprei.”

“Di una persona così non si deve voler perdere traccia. È un oracolo.”

“Un oracolo?” ripetè il giovane sorpreso. “In che modo è un oracolo?”

“Sembra conoscere il futuro” rispose lo straniero.

“Non penso che qualcuno possa conoscere il futuro.”

“Forse non ciò che succederà domani, ma ciò che alla fine succederà… lei lo sa.”

“Uhm…”

“Comunque” disse lo straniero, “grazie per l’acqua. Ora devo andare. Ho una lunga strada davanti a me.”

“Scusa la domanda… ma sono curioso. Aveva senso per te quella conversazione?”

“Tutto ciò che hai chiesto passava anche per la mia mente. Le sue risposte avevano senso e, tuttavia, non so dire come o perché lo hanno. È come… qualcosa di molto semplice che è così semplice da essere complesso da capire, e non tanto perché é quello ad essere complesso, ma perché sono io ad avere questa complessità dentro di me. È così semplice che mi fa ricordare l’altra.”

“Sì! È proprio vero, ed è ciò che sto cercando di capire. Come lasciar cadere la complessità che ho imparato?”

“Disimparare è difficile” disse lo straniero scuotendo il capo. “Noi dobbiamo essere disposti a fare spazio al nuovo lasciando andare il vecchio; e non stiamo parlando di cose come allacciarsi le scarpe, stiamo parlando della fondamentale comprensione di chi noi siamo. Ognuno di noi.”

“E tu lo hai fatto?” chiese il giovanotto.

“Non ancora.”

“Perché? Non ne vedi il valore?”

Lo straniero fece per parlare e si bloccò. Emise un profondo sospiro. “Penso che la donna abbia ragione riguardo a quel bilanciamento delle cose. Io non sono del tutto pronto a rinunciare alle vecchie complessità che mi circolano nella mente e nel cuore. Ho ancora da giocare il gioco della sopravvivenza. Ho ancora bisogno di vivere in alcune varianti delle convenzioni sociali. Non posso rinunciare a tutto quello in un solo momento come per magia” e fece schioccare le dita con un forte suono secco.

Il giovane depose la sua tanica sul terreno, segnalando di avere intenzione di fermarsi ancora per un po’. “Ma ha senso per te?”

Lo straniero rimase in silenzio e incrociò le braccia, come a riflettere seriamente sulla domanda.

“Diciamo solo che sono aperto alla cosa, e che le parti a cui non sono aperto dovranno aspettare. Inoltre, secondo la donna, io questo già lo so. È soltanto una memoria che devo rammentare. Quando sarò pronto, il ricordo sarà ancora lì.”

Detto questo, indicò la tanica. “Un altro sorso prima che me ne vada?”

Il giovane annuì. “Certamente.”

Lo straniero prese un lungo sorso e posò nuovamente il contenitore a terra. “Come promesso, ti ho alleggerito il carico. Grazie per avermelo permesso.”

“Lieto di condividere” ribatté l’altro.

“Mi spiace di aver origliato la vostra conversazione. Se può essere di consolazione, ero sotto l’albero prima che voi arrivaste. Mi ero addormentato e le vostre voci mi hanno svegliato. E una volta sveglio, ho semplicemente ascoltato. Solo ascoltato. In realtà tu eri la mia voce. Le domande che hai fatto erano proprio quelle che volevo fare. Quindi, grazie per questo.”

Il giovane annuì. “Devi essere di mente molto aperta” osservò.

“Non proprio, non più di altri.”

“Io non penso che tu sia una persona comune.”

Lo straniero si chinò verso di lui abbassando la voce a poco più di un sussurro.

“Sono moltissimi ad essere aperti a questo. Moltissimi.”

Si voltò e s’incamminò, lasciando il mormorio delle sue parole nell’aria come nuvole luminose nel cielo buio.—