In viaggio da Sitara

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In viaggio da Sitara
E2 : S2

Per la visitatrice il viaggio non era facile. Stava sulla gobba del cammello a circa tre metri dal suolo del deserto e a ogni passo quasi perdeva l’equilibrio, specialmente quando risalivano la china sabbiosa di una duna. Era verso sera e i suoi compagni, un uomo e due donne, la stavano scortando al luogo dove viveva la loro venerabile maestra, una donna anziana come lei.

Viaggiavano soltanto di notte perché era più confortevole. La temperatura del deserto si raffreddava tra le due e le sei del mattino se non c’era vento, mentre con il vento diventava di un freddo pungente. Se viaggiare nel deserto tra le otto del mattino e le otto di sera non era un buon momento per i cammelli, tanto più non lo era per gli umani. Soltanto nell’arco di tempo tra quegli orari la temperatura diventava favorevole.

Il periodo tra le nove di sera e mezzanotte era il momento preferibile per viaggiare, almeno quando il cielo era privo di nuvole. Si riusciva a vedere notevolmente bene durante la notte se le stelle erano visibili e, specialmente, se la luna era almeno quasi piena. Agli occhi dei nomadi del deserto le stelle sono indicazioni per orientarsi.

L’uomo bloccò il suo cammello e alzò un braccio come a formare un angolo di 90°. “L’avete sentito?”

Gli altri si fermarono per ascoltare. In lontananza di sentiva un gemito, come di un animale sofferente.

“Che cosa pensi che sia?” chiese una delle donne.

“Un leone di montagna” rispose. “O, forse, una capra…”

“Dev’essere una capra bella grande” commentò l’altra a voce bassa, celando tra le parole una risatina.

“Suppongo sia proprio oltre quella duna” disse l’uomo indicando alla sua sinistra. Fece inginocchiare il cammello e scese. Afferrò il fucile e si diresse verso la cresta della duna che aveva appena indicato. “Andrò a dare un’occhiata.”

Il cielo era di un bellissimo blu-violetto e le stelle delle galassie stavano già mostrando il loro volto alla Terra.

“Vorrei andare anch’io” disse la visitatrice.

“Potrebbe essere pericoloso” replicò la sua compagna. “Resta con noi, vediamo prima che cosa trova lui. Se è un leone di montagna non diamogli motivo di attaccarci. Il leone non attacca i cammelli e noi siamo al sicuro.”

La visitatrice scivolò lungo il fianco del cammello con grazia, atterrando silenziosamente sulla sabbia soffice. “Sono curiosa più di quanto sia accondiscendente. Scusatemi…” e si diresse verso l’uomo. A quel punto anche le due donne scesero dai loro cammelli per seguirla. “Aspettaci!”

La visitatrice rallentò il passo ma continuò a procedere in direzione dell’uomo.

Il lamento diventava sempre più forte e inquietante man mano che si avvicinavano alla cresta della duna sabbiosa. Era un suono triste, e nella vastità sconfinata del deserto quella tristezza si amplificava.

Raggiunta la cresta, l’uomo segnalò alle donne di avvicinarsi. Quando venne raggiunto, indicò un punto alla base tra due dune che convergevano vicino a un affioramento roccioso. Là, su uno spazio aperto vicino al punto più alto della protuberanza, stava un leone di montagna.

“Dev’essere ferito” disse l’uomo. “Sembra che soffra molto.”

“Sta soffrendo qui…” e la visitatrice indicò il suo cuore, “e non per una sofferenza del corpo.”

“Beh, qualunque cosa sia, dovremo stare alla larga da questo posto. Se quel leone soffre di malnutrizione, potrebbe vederci come cena. Meglio tornare ai nostri cammelli.”

Quando il gruppetto si volse indietro, notarono che la visitatrice non era più con loro. “Dov’è andata?” chiese una delle donne.

“Eccola là!” esclamò l’uomo indicando la donna che si dirigeva verso il leone. “Non è sicuro…” commentò l’uomo a bassa voce, e poi: “Se vuole continuare a vivere, torni indietro adesso! Io non sono propriamente bravo con il fucile… specialmente di sera e da questa angolazione… con un leone di montagna che corre affamato.”

La visitatrice voltò il capo verso di lui ma continuò ad andare avanti. “Mi interessa di più imparare che allontanarmi. E quella… “ e indicò il leone, “è la mia prossima lezione.”

Avvicinandosi al leone, la visitatrice alzò e spalancò le braccia per mostrare di non avere nulla. Il leone di montagna si mosse per affrontare la visitatrice che si stava avvicinando. I suoi gemiti si quietarono fino a tacere.

La visitatrice si fermò e si sedette sulla sabbia guardando il leone, parlando e rivolgendosi come fosse un amico. “Perché ti lamenti?”

“Cerco attenzione, suppongo” disse il leone di montagna.

“A che scopo?” chiese la visitatrice.

“Mi annoio… suppongo.”

“E perché ti annoi?”

“Perché il mio compagno se ne è andato.”

“Come mai?”

“Mi ha lasciato e non so se è stato ucciso o ferito, o se si è perso o semplicemente ha trovato una nuova compagna, Non so quale di questi motivi e la cosa mi rende infelice… così mi lamento.”

“Da quanto tempo il tuo compagno manca?

“Non lo so. Da molto tempo.”

“Non pensi che il tuo lutto sia giunto a termine?”

“No… come posso? Non ho una risposta definitiva sullo stato del mio compagno.”

“Alcune cose devi lasciarle nel mistero.”

“Perché?”

“Noi siamo tutte le cose, così come siamo un’unica identità… nel tuo caso, un leone di montagna nel deserto.”

“Un leone di montagna solo e affamato” ribatté la leonessa.

La visitatrice sorrise rimanendo in silenzio.

“So bene di essere più di un leone di montagna. So di essere una parte della Natura.”

“Allora sai come la Natura si adatta e vada avanti” disse la visitatrice.

“Sì…”

“Allora hai imparato la lezione del lutto. Perché non tentare una nuova lezione?”

La leonessa sospirò e poi fece una risatina. “Una nuova lezione… non sono un cucciolo.”

“Tu non sei diversa da me. Non sei un cucciolo, un adulto, una leonessa, una donna… non sei queste cose e lo sai. E lo so io. Quindi è il momento di andare avanti, di permetterti di vivere nuove esperienze ed espressioni. È in queste cose che onori la tua vita e quella di chi ti sta intorno, compresa la Natura. Se ti permetti di restare bloccata su una lezione, prolunghi semplicemente il tempo nei confini di quella lezione. Questa è una scelta. È sempre una scelta.”

“Se non sono un leone di montagna, allora che cosa sono esattamente?” chiese la leonessa.

“Tu sei noi, proprio come noi siamo te.”

“Chi è noi?”

“La Natura.”

“Quindi la Natura è me e io sono la Natura… è questo che stai dicendo?”

“Sei entrambe. La parte io di te è tu; la parte noi di te è noi. E noi è tutto. Tutto è Natura. La Natura è contenuta nell’inconoscibile, l’unico nome che giustamente lo definisce.”

“Ma, anche ad essere d’accordo con te, io resto sempre una leonessa senza un compagno, e il sapere ciò che hai appena detto… non cambia la realtà… o il mio stato d’animo.”

La visitatrice fece per dire qualcosa ma si fermò e sollevò l’indice. “Non è se è la tua realtà a cambiare, è se tu decidi di cambiare la tua realtà. È sempre una tua scelta. Tutto quello che sto facendo è di ricordartelo. A volte è più facile andare avanti se si guarda la vita come un apprendimento per l’uno e il tutto, e non come un amaro destino o una perdita inflitti come punizione a te e solo a te.”

“Perché? Quale differenza fa?”

La visitatrice tacque per un attimo, ma continuò a mantenere l’indice alzato come a indicare un qualche oggetto in cielo, quasi senza pensarci. “Perché noi ci incarniamo, quale che sia la forma, per imparare. E l’imparare è sempre nuovo, non è una ripetizione. La ripetizione è la padronanza di uno schema. Imparare è l’arte di evolvere la possibilità della nostra realtà, e questo differisce dalla maestria. Gli schemi coinvolgono la memoria del cervello e del corpo, l’imparare coinvolge l’immaginazione e l’intuizione – la mente e il cuore – che vivono grazie al cambiamento come se fossero un’unica coscienza posta in questa realtà di spaziotempo per apprendere e risplendere.

“Se ti poni nella gabbia del fato o della punizione, allora la possibilità di ciò che sei è trattenuta in quella gabbia. E questo sminuimento ti porta a lottare e a perdere la speranza. Non è vero?”

“Forse in parte” rispose la leonessa. “Ciò che provo è la perdita di un partner che era la mia metà. E non c’è apprendimento che possa cancellare questa sensazione di vuoto… questo buco profondo che sento dentro di me.”

“Allora non cancellarla. Onorala andando alla prossima lezione. Tu sei qui come sei, e la natura sta davanti a te come è, e tu puoi voltarle le spalle nel ricordo della tua perdita, oppure abbracciarla imparando l’evoluzione della coscienza uno, molti e tutto. Non puoi averle entrambe. Se tu l’abbracci, essa ti abbraccerà.”

“In che modo?”

“Ti guiderà alla prossima lezione. Pian piano colmerà quello spazio vuoto, una nuova esperienza dietro l’altra.”

“E se non desidero la prossima lezione?”

“Allora voltale le spalle.”

“Lo scelgo io?”

“Sì” annuì la visitatrice. “O vivi nella gabbia che ti sei creata, oppure passi alla prossima lezione. La novità che ti attende è lì pronta a riempire quel vuoto. Tutto ciò che serve è lo spaziotempo e la nostra disponibilità ad andare avanti, lasciare quel vuoto e abbracciare la Natura per tutto ciò che è, permettendo alla sua magia e matematica precisione di avvalersi nella nostra vita.”

“In pratica, è un permesso?” chiese la leonessa.

“Forse non un permesso, ma piuttosto una partnership.”

“Come posso essere partner di qualcosa che è Tutto (All)? Come può la mia miserabile piccola vita importare a quella cosa che è tutto? Che senso ha?”

Sia perché avesse il braccio stanco o l’oggetto in cielo fosse sparito, la mano della donna scese di colpo nel grembo a stringere l’altra mano.

“La complessità della Natura è incomprensibile ai sensi e all’intelletto” disse. “Anche la natura dell’immaginazione e dell’intuizione non riescono a comprenderla. E noi amiamo proiettare le nostre capacità sulla Natura, credendo che sia come noi, quando non lo è. Pur tuttavia, la Natura co-dipende da tutti noi. Questa è la sua complessità e il perché è infinita in ogni dimensione.”

“E come risponde questo alla mia domanda?” chiese la leonessa.

La visitatrice si alzò in piedi. “Ho già risposto alla tua domanda. Sta a te decidere come ti ho risposto.”

Detto questo si volse per tornare indietro.

“Aspetta.. aspetta… aspetta!” La leonessa si rizzò sulle zampe. “Dove stai andando? Sei il primo essere umano ad avermi parlato. Voglio che resti qui.”

La visitatrice continuò a camminare diretta verso i suoi compagni. La leonessa scese dallo sperone roccioso, atterrò sulla sabbia del deserto e iniziò a correre dietro la visitatrice.

L’uomo puntò il fucile contro l’apparente carica del leone di montagna. La visitatrice alzò il braccio: ”Non sparare!” e si voltò a fronteggiare la leonessa che si bloccò di colpo iniziando a muoversi avanti e indietro mentre di tanto in tanto le lanciava delle occhiate. “Prima vieni e poi mi lasci“ disse la leonessa. “Anche dopo che ti ho raccontato del vuoto dentro di me. Non capisci che sei crudele a lasciarmi?”

“Io ero la tua prossima lezione e tu la mia. La mia lezione è finita e se la tua non lo è, è una tua scelta; ma non chiamarmi crudele perché vado avanti. Ti auguro ogni bene. Ho soltanto buone intenzioni verso di te e ti considero un’amica ritrovata. In che modo questo è crudele?”

La leonessa continuava ad andare avanti e indietro. “Hai un amico che tiene un fucile puntato su di me.”

La visitatrice si rivolse all’uomo: “Per favore, ti prego, ora metti giù il fucile” disse con voce era ferma e risoluta.

Il braccio dell’uomo si abbassò lentamente e con esso il fucile.

La visitatrice si rivolse alla leonessa. “Io non ho controllo sui miei amici, ma puoi vedere che ti ho ascoltato.”

La leonessa si fermò e si appoggiò sulle gambe posteriori. “Vuoi sapere che cosa veramente mi tormenta? Ciò che punta il suo dito giudicante verso di me ad ogni mio respiro?”

“Che cosa?” chiese la visitatrice.

“Che non ho mai detto al mio compagno di come veramente mi sentivo.”

La visitatrice rimase in silenzio e si sedette di fronte a lei.

“Gli ho detto che l’amavo, gli ho detto che lui era il centro della mia vita, gli ho detto che era il mio più caro amico. Ma non gli ho mai detto come veramente mi sentivo. Che avevo paura del vuoto che avrei provato nel perderlo. Che la morte e il suo processo, fosse stata la sua o la mia, riempiva la mia vita così fortemente da temere soltanto quella. Era diventata la somma di tutte le mie paure e quando infine è successo, soltanto allora mi sono resa conto che non gli avevo detto questo.”

“Forse dai troppa importanza alle parole” disse piano la visitatrice.

“Alle parole?”

“Lui sa come ti senti” disse la visitatrice. “Lo sente anche lui. Tutta la vita nello spaziotempo lo sente, perché lo spaziotempo divide ciò che siamo e noi istintivamente lo sappiamo. Lo spaziotempo ci fa a pezzetti e noi vaghiamo come un frammento e non come intero. E questo frammento sembra temporaneo. Forse non è qualcosa che notiamo da bambini, ma a un certo punto della nostra vita ci rendiamo conto della nostra mortalità, e da quel punto in poi semplicemente cresce.

“In ogni relazione in cui stiamo bene, sappiamo che alla fine lo spaziotempo interverrà e costringerà quella relazione a finire. Finire è la nostra paura. Tutto quello che ti sto dicendo è che il finire può essere la gabbia che ti trattiene o la piattaforma di lancio verso nuove meraviglie.”

La leonessa guardò la visitatrice negli occhi per la prima volta. “Forse hai ragione. Ci penserò sopra e proverò ciò che è utile per me.”

La visitatrice si alzò in piedi. “Ora noi dobbiamo andare. È stato un piacere conoscerti e forse ci incontreremo di nuovo durante i nostri viaggi.”

Il leone di montagna si rialzò a sua volta. “Dove state andando? Forse potrei seguirvi…”

La visitatrice si rivolse ai suoi compagni, che osservavano con ammirazione la sua calma vicino a una bestia che poteva ucciderla in pochi secondi. “Dove noi stiamo andando, tu verresti cacciata.”

“Sono cacciata anche qui.”

“Tu mangi il cibo che noi alleviamo per nutrirci. Ti vediamo come un concorrente, non un parte importante della Natura.”

“Capisco, ma è così che sopravviviamo. Viviamo in un mondo duro, e dobbiamo essere intraprendenti e astuti, oppure perire.”

La visitatrice si rivolse ai suoi compagni. “Portate qui del cibo, possiamo condividerlo.”

Una delle donne corse ai cammelli e riunì del cibo.

“Intendi condividere il tuo cibo con me?” chiese la leonessa.

“Ne abbiamo a sufficienza.”

“Grazie. Hai anche dell’acqua?”

“Portate dell’acqua, per favore!” urlò la visitatrice.

“Non mi aspettavo questo…” mormorò la leonessa pensosa.

“Vedi come ti arrivano cose meravigliose?”

La testa possente e scura annuì riflettendo. “Mi lamentavo… gemevo… sola nel deserto e… e tu mi hai trovato?”

“Soltanto perché stavi gemendo. Stavi esprimendo il tuo dolore. E noi ti abbiamo trovato. E sono venuta verso te perché io non ho paura di te, e neppure avevo paura del tuo dolore. Ed è così perché io vedo te come una parte di me, pertanto posso aprirmi a te, servirti, immedesimarmi con te. È così che la Natura si connette al suo Sé. E se noi l’osserviamo in tal modo, possiamo trovare momenti di armonia, meraviglia, stupore, significato e il senso di come la vita evolve per uno, molti e tutto. È il modo in cui questa storia evolutiva viene filata affinché tutti la sperimentino, a modo loro.”

Arrivò la donna con il cibo e lo porse alla visitatrice, che lo prese e depose a terra sopra un telo.

Poi versò dell’acqua in una ciotola. La leonessa cominciò a camminare avanti e indietro mentre la visitatrice preparava un piccolo banchetto per il leone di montagna.

“Fammi venire con te” disse la leonessa, “mi assumo la responsabilità di badare alla mia incolumità tra la tua gente.”

“No” rispose la visitatrice in tono brusco.

“Perché no?”

“Perché non voglio vedere la tua morte. Specialmente per questo motivo.”

La visitatrice fece un passo indietro annunciando: “Ecco, è pronto per te.”

La leonessa si avvicinò con cautela ma anche con grande impazienza per il cibo e l’acqua. Il profumo e la vista del cibo le avevano già stuzzicato i sensi. Divorò il cibo in un attimo e bevve tutta l’acqua. “Grazie” disse dirigendosi poi verso la sua tana.

“Grazie a te” rispose la visitatrice con un inchino.

Il leone di montagna di fermò e si volse verso la visitatrice che stava raccogliendo il telo e le ciotole di legno vuote. “La tua gentilezza non sarà dimenticata. Il suono della tua voce sarà salutato nel mio futuro con cortesia e rispetto. Hai ragione, devo trovare altri della mia specie e stare con loro per quanto possibile. Ti auguro buona fortuna.” La leonessa riprese ad andare verso il suo rifugio, dove poteva riposare e, forse, sognare.

I compagni della visitatrice osservarono sbalorditi la leonessa procedere a grandi passi sulla sabbia fino alle rocce e al suo nascondiglio. Poi, imbaldanziti dalla sua assenza, corsero incontro alla visitatrice.

“Che cosa è successo? Lei sa parlare con gli animali?” chiese una delle donne.

“A volte sì” rispose la visitatrice.

“E di che cosa avete parlato?” domandò l’uomo quasi senza fiato dopo la corsa.

“Era sola e affamata, una delle peggiori combinazioni; così, come tutti in questa circostanza, si lamentava di quella sua vita.”

“E lei ha soddisfatto sia la sua solitudine che la fame, o solo la fame?” chiese ancora la donna.

“L’ha fatto da sé” replicò la visitatrice. “Io gliel’ho solo fatto ricordare.” La visitatrice guardò ciascuno dei suoi compagni. “Vogliamo andare?”

Gli altri annuirono, ancora colpiti da ciò di cui erano stati testimoni.

Mentre camminavano sulla cresta sabbiosa della duna, i cammelli si misero in piedi e bramirono riconoscendo che un nuovo viaggio stava per iniziare.

Una volta sistemati in groppa ai cammelli, si addentrarono più profondamente nel deserto. Una delle donne si volse verso la visitatrice, come ad accertarsi che fosse ancora con loro.

La visitatrice pareva essere uno strano mix di presenza invisibile in un corpo fisico, come un potente e amichevole fantasma improvvisamente apparso davanti a loro. “In che modo la leonessa ha risolto il suo senso di solitudine?”

La visitatrice fissò lo sguardo verso la vastità del deserto infinito sotto il nero manto di stelle luccicanti. “Non c’è soluzione alla solitudine. Noi siamo esseri separati, pertanto saremo tutti sempre soli. Nessuno è del tutto libero da questa sensazione. È chi noi siamo, e odiarla è come odiare sé stessi.

“Allora va amata? Come?”

“E neppure amata.”

La visitatrice rimase in silenzio ad osservare una stella cadente mentre attraversava la scura tela del cielo. “Va compresa e poi reimmaginata. Comprendere che la solitudine è in parte chi noi siamo e accettarla. Poi ci spostiamo al Molti, in cui troviamo delle relazioni, e vediamo queste relazioni nel mondo reale. Queste non sono soltanto relazioni con altri esseri umani, ma con le pietre, i panorami, la sabbia, il vento, gli animali, gli alberi, l’aria, le stelle… il nostro respiro. Il Molti è più di quanto possiamo immaginare.”

“Ogni cosa…?” chiese la donna, e le sue parole si persero in un silenzio intessuto di comprensione e speranza.

“È per questo che si chiama Molti” disse la visitatrice. “Noi dobbiamo soltanto ricordare che il Molti è la Natura e che la Natura fa parte di noi e noi di essa. Con questa comprensione possiamo gestire la solitudine, quel sempre presente senso di separazione.”

“E riguardo al reimmaginare?” le rammentò la donna.

“Le nostre immaginazioni non sono sintonizzate a riconoscere queste infinite relazioni che noi abbiamo in ogni singolo momento della nostra esistenza. Alcune ci sono familiari, come con i nostri partner quotidiani o la famiglia, ma altre sono delle complete novità, come con una rana o un albero. Così dobbiamo sintonizzare la nostra immaginazione a queste infinite relazioni, dato che sono il ponte per vivere sia come coscienza Sovereign che Integral.

“Il mio sovereign ed io siamo in partnership con tutta la vita: il Molti. Stiamo costruendo qualcosa che è sconosciuto e inconoscibile. Questo, nessuna mano lo ha mai costruito prima. Quindi siamo intimi partner su una strada infinita. È questo che la nostra immaginazione deve afferrare, e una volta tenuto nell’occhio della mente e nell’orecchio del cuore, iniziamo a reimmaginare noi stessi e la vita stessa.”

“È difficile farlo?”

“Farlo non è più difficile che non farlo. È semplicemente una scelta. Lo sforzo è sempre presente nella scelta. Il farlo davvero può sembrare più difficile o più facile, ma farlo è soltanto un momento nello spaziotempo che ti richiama in un mondo nuovo di reale esperienza ed espressione. Sei tu che decidi come sintonizzare la tua immaginazione. È sintonizzata sulla separazione o sull’interconnessione in tutti i suoi profumi?”

“Che cosa ci vuole per farlo veramente?” chiese una delle donne.

“Ebbene, è d’aiuto vedere quali incredibili creature siamo tutti noi a modo nostro, questo è un buon punto da cui partire. Dopo, vedere che questa nostra diversità è il ponte (mesh point) alla nostra interezza. E poi, semplicemente, scegliere questa prospettiva invece che la prospettiva dove noi siamo separati, dei corpi e cervelli meccanici che si muovono nello spaziotempo senza scopo o sotto il controllo di un’intelligenza superiore.

“Noi non siamo un mucchio di atomi e molecole, cellule e neuroni, ossa e tendini, muscoli ed energia, tenuti insieme dentro la pelle in cui ci riconosciamo. Queste cose nascono nello spaziotempo e periscono infine nello spaziotempo. Sono finestre temporali di una singola vita. Si aprono e si chiudono, ma la casa di cui sono una parte, quella è il Sovereign. Quella casa è di dimensione infinita, ma la nostra particolare finestra ci inchioda al mondo esterno di un singolo spaziotempo.”

Ci fu una pausa. “Se ci giriamo a guardare dentro la casa di cui noi siamo veramente, se stabiliamo la nostra partnership sulla mente e sul cuore, se sfoderiamo la nostra immaginazione e intuizione, se reimpariamo come imparare, noi possiamo farlo. Possiamo girarci e vedere la nostra casa, dove noi viviamo mentre sempre siamo. E una volta che si vede questo, possiamo portare il nostro Sovereign a qualsiasi finestra e vedere attraverso quella finestra la nostra casa infinita.”

Queste ultime parole della visitatrice incontrarono il profondo silenzio dell’oceano di sabbia sotto di loro e dell’oceano di stelle sopra di loro. I quattro viaggiatori cavalcarono in silenzio a lungo, finché non giunsero a vedere una fioca luce sopra una duna sabbiosa.

“Là è dove vive Sitara” disse l’uomo con eccitazione. E poi, sottovoce, mormorò quasi inudibilmente, “… e la cosa sarà interessante.”––